Prima del suo ultimo concerto al Monk abbiamo incontrato Jacco Gardner, abbiamo parlato del suo lavoro, degli anni ’60, dei film e dei suoi prossimi progetti. Una personalità ricca e stimolante, c’era da aspettarselo.
Due poltrone a righe con un look d’altri tempi, un po’ come la sua musica di cui vi avevamo già parlato. M’immagino che nel suo Shadow Shoppe Studio ci siano delle poltrone identiche a quelle. Quando arrivai, Jacco Gardner stava effettuando ancora il soundcheck. Ma appena finito, insieme al “menestrello psichedelico” mi sono diretta su quelle poltrone per due chiacchiere in intimità, che hanno rivelato da subito l’eclettismo e la sensibilità di questo giovane cantautore olandese.
Immagino che fare un tour musicale sia entusiasmante, ma qual è la caratteristica che più ti piace?
Sicuramente è la capacità che il tour riesca a “forzarti” ad andare in alcuni posti, è un trascinamento positivo che spesso ti porta nelle città che avresti sempre voluto visitare o magari luoghi che non avresti mai pensato di vedere. Per quanto riguarda questo specifico tour sono contento di essere arrivato a Roma poiché non c’ero mai stato, lo scorso tour sono stato in Italia ma mai nella Capitale. Sono curioso di vedere e sentire cosa piace qui alla gente. Purtroppo però non ho abbastanza tempo per soffermarmi abbastanza su questa città che da sempre è sulla mia “lista delle visite”.
Qual è il tuo approccio alla scrittura musicale?
Ogni volta approccio al processo creativo in modo diverso, anche grazie alle diverse tecniche che uso. A volte cambio completamente la rotta da ciò che ho fatto in precedenza. Ci sono volte che ho in mente un testo, una frase e parto da lì altre volte invece mi metto a suonare aspettando che le note mi facciano provare un’emozione, quella giusta, per partire nella scrittura. Tutto è riconducibile alle emozioni, loro sono il motore di tutto.
Ascoltando le tue canzoni sembra che tu riesca a superare le tue paure attraverso la musica, pensi sia vero e pensi sia un modo efficace per tutti come rimedio ai propri limiti?
Per me lo è. Assolutamente. Nel mio caso è efficace, non so se anche altre persone riescano a beneficiare della musica come ne beneficio io. Riesco ad andare oltre anche solo grazie alla scrittura delle canzoni, un vero e proprio modo di espiare paure e risentimenti. Grazie alla musica riesco a trovare il mio posto all’interno del mondo e penso che ognuno grazie alla musica riesca a trovare il suo.
Qual è il tuo rapporto con il mondo del cinema e le arti visuali?
Sono molto unito e connesso al mondo del cinema. Amo guardare film e penso che questi ispirino il mio processo creativo, sono molto legato a quelle pellicole con caratteristiche che provengono da mondi diversi, infatti mi piacciono molto i film d’animazione di Hayao Miyazaki. Amo le visual arts e penso che questa mia passione si rispecchi anche nella mia musica che è molto immaginifica. Prima di dedicarmi professionalmente alla musica ero indeciso se dedicarmi a quest’ultima o alle belle arti. In generale mi affascina l’arte sotto ogni sua prospettiva e chissà forse più in là nella mia carriera non è detto che io non mi possa dedicare anche alla pittura, per ora però mi concentro solo sulla musica.
Che cosa ti affascina di più degli anni ’60?
Per me gli anni ’60 sono stati il decennio della rivoluzione e della costruzione. Sono gli anni in cui diverse culture iniziano a venire in contatto tra loro suggerendo nuove commistioni, un vero e proprio dialogo fra patrimoni differenti. Le influenze della musica provenienti da altri continenti rispetto al nostro, come la musica e gli strumenti giapponesi ad esempio. Insomma tanti stili musicali diversi che s’incontrano. Per questo mi piace prendere spunto da quegli anni mi da la sensazione di continuare quel processo rivoluzionario e unificatorio fra culture.
La tua musica è ricca di dualismi, come interagisci con queste luci e ombre che poi metti in musica?
Il mistero insieme al mondo che mi circonda influenza molto la mia musica. Ho da sempre sfruttato questo contrasto di luce e oscurità che si combinano nella mia realtà. È come quando fuori c’è una tempesta e dentro ti senti stranamente sereno. Nella mia vita ci sono molte sfumature tra luci ed ombre e faccio entrare nei miei testi tanto le une quanto le altre. Anche se penso di essere un “fan” del mistero, di tutto ciò che non è conosciuto o non è stato scoperto dalla scienza. Questo mistero che sento intorno m’ispira moltissimo ed è il primo elemento a subentrare nella mia musica.
Perché hai deciso di diventare un musicista?
Non penso di averlo deciso io. Non la sento come se fosse stata una scelta. Mi hanno forzato i miei genitori e la mia famiglia e sono molto felice che lo abbiano fatto. È da quando sono piccolo che ho la musica intorno: mio fratello suona, mia sorella suona. Io sono il più piccolo e non potevo non avvicinarmi al mondo della musica. Inizialmente non mi piaceva perché i miei mi costringevano a suonare il clarinetto, dopo quattro anni di lezioni l’ho mollato e ho deciso di mettere su una band suonando il basso e la chitarra. Poi è venuto tutto il resto…
Secondo te qual è il ruolo della musica all’interno della nostra società?
Secondo me la musica non ha un solo ruolo. Essa ricopre diversi ruoli a seconda delle persone che la scrivono o che l’ascoltano. Sicuramente la musica ha in sé un messaggio, non sarebbe musica altrimenti, è un mezzo di comunicazione ma questo messaggio è diverso a seconda delle persone, lo si può interpretare diversamente a seconda di ognuno. Per me la musica è portatrice di benessere, è il mezzo che può “aggiustare” il mondo e anche nutrirlo perché è in grado di connettere le persone fra loro.
C’è già qualche progetto o idee per il futuro?
Sto lavorando a molte cose. Il progetto più imminente sarà quello di suonare il basso, niente voci o altri strumenti, in un’altra band con la quale andrò in Zambia e dove ci sarà anche il mio batterista Nic Mauskovic. Idee ne ho moltissime, come la creazione di colonne sonore di film e, perché no, anche di video game.