Racconto | «Il Lungosenna è ancora impregnato del passaggio di Baudelaire, seguendo le sue tracce ci si perde in una mappa dove ogni luogo assolato è inesistente e ogni anfratto nebbioso è un vortice che emana un’energia misteriosa»
[Digital art di Silvia Rognone]
Sono un cartografo.
Sono ossessionato dalle mappe.
Riporto su carta quello che serve sapere di un luogo: il semaforo, l’ufficio postale, il negozio di scarpe, l’indirizzo del cinema…
A lavoro concluso mi sudano le mani, divento irascibile e a volte distruggo tutto ciò che ho fatto. Le mappe che disegno sono fredde, glaciali, non comunicano niente, riflettono il punto di vista di tutti e di nessuno.
Il fatto è che ognuno, nella propria testa, possiede una sua personale mappa di un luogo cosicché a volte è difficile, quasi impossibile, ricongiungere su di un’unica mappa i ricordi, le gioie e i rimpianti di tutti quelli che hanno vissuto uno spazio poiché tutto ciò pesa sulle mappe, incide sugli edifici i quali si trasformano impregnandosi di queste emozioni.
Ma non tutti hanno lo stesso modo di vedere lo spazio, l’universo.
Prendiamo ad esempio Parigi, la Tour Eiffel.
La struttura longilinea dell’edificio si aberra sotto il peso delle sensazioni di tutti quelli che hanno vissuto quel posto.
Il ferro della torre si gonfia così da assumere la forma di una ciclopica sfera pulsante di vita e di ricordi. La mappa di Parigi è sovrastata da uno spazio caricato anche da quelli che lì ci sono passati solo da turisti e adesso vivono a migliaia di chilometri da quella struttura palpitante.
Ma non per tutti è così.
Nella mappa di Titeuf la Tour Eiffel è solo un insignificante puntino. Una scusa per salire sul tetto di Parigi e sprecare i soldi per guardare dall’alto, verso Boulevard de Strasbourg, così da tentare di vedere Louisa attraverso la minuscola finestra della cucina del suo appartamento.
Nella mappa di Titeuf l’anonimo palazzo di Louisa è una struttura titanica, l’ombelico del mondo, un gigantesco cunicolo collega il palazzo al cuore incandescente della Terra, il tetto conduce sulla Luna. Louisa ha chiuso le tendine della cucina. Titeuf ha sprecato i soldi per salire sulla torre e l’energia sufficiente a far girare la Terra intorno al Sole.
Verso boulevard Sérurier, sotto la scorza superficiale e anonima della mappa di tutti i parigini, esiste una piccola bolla d’aria rappresentata da una stazione abbandonata della metropolitana. Si chiama Haxo ed è una stazione fantasma, senza ingresso né uscite, esiste e non esiste. Un cunicolo vuoto che Gaetano, Krzysztof, Sofiané e gli altri operai che ci hanno lavorato hanno riempito con le loro speranze, con il fumo delle sigarette e l’odore del loro pane in cassetta.
Souleymane fa l’elettricista, nella sua mappa al posto del quartiere Saint-Germain-des-Prés, centro letterario della città, c’è un immenso spazio vuoto mentre lo stadio dove gioca il Paris Saint Germain, si staglia immenso nel cuore di Parigi.
A Souleymane il calcio è sempre piaciuto. La sera del 12 luglio 1998, dopo una giornata di lavoro, correva verso l’ospedale dove Aylin stava dando alla luce Didier. All’altezza di Rue Pelletier, a pochi chilometri dall’ospedale, fu fermato dai poliziotti della BAC.
Souleymane andava troppo veloce e, secondo i poliziotti, somigliava troppo a qualcun altro che andava arrestato. Souleymane cercò di ribellarsi, era profondamente ingiusto che gli fosse negata anche quella gioia dopo così tanti sacrifici. Il risultato furono calci e pugni in caserma, intervallati dalla tv che mostrava Zinedine Zidane danzare col pallone nella finale dei mondiali di calcio.
Nella mappa di Souleymane la caserma appare come uno spaventoso precipizio ricolmo di sputi.
Ma oggi egli ricorda ogni singolo millimetro percorso dal parcheggio agli spalti dello stadio dove, fremente, aspetta il momento in cui Didier accarezza il pallone con quel tocco che, qualcuno dice, ricorda quello di Zidane.
Nella mappa di Souleymane oggi lo stadio Parc de Princes ha la forma di un’immane astronave pronta a partire verso pianeti straordinari.
Il Lungosenna è ancora impregnato del passaggio di Baudelaire, seguendo le sue tracce ci si perde in una mappa dove ogni luogo assolato è inesistente e ogni anfratto nebbioso è un vortice che emana un’energia misteriosa.
Volendo si può ricostruire una mappa che, come i rami di un albero, riproduce i vicoli più sconosciuti e oscuri di Parigi, quelli dove il poeta cercava il collo profumato della signora creola, quelli che accolgono i gatti e le coppiette alla ricerca di un luogo angusto dove strofinarsi.
Sulla mappa di Parigi Place de la Concorde è una ferita ancora aperta.
Nel Settecento era solo l’esplanade du Pont-Tournant, un posto frequentato solo da Roger e dal suo mulo il quale una volta si mise a scalciare così follemente da disarcionarlo. Nella mappa di Roger Place de la Concorde resterà il posto dove si guadagnò una gran culata picchiando a terra.
Poi, nel 1783, ci misero la statua equestre di Re Luigi XV, al popolo quel metallo sembrava fuso con i corpi dei monelli morti di fame cosicché qualcuno si arrampicò su quella statua e mise una benda sugli occhi del sovrano, ormai divenuto cieco ai bisogni del popolo.
Place de la Concorde diventa ben presto il palcoscenico della rivoluzione, qui i rivoluzionari installarono la ghigliottina così che il sangue di Luigi XVI si mischiò a quello di Robespierre.
La piazza per qualcuno è un gorgo infernale, per altri il tempio troneggiante della giustizia.
Ora il tiranno è Luigi XVI, ora è Robespierre. Nessuno legge nel cuore di Luigi XVI, nessuno in quello di Robespierre.
Place de la Concorde è una voragine spaventosa che qualcuno ha riempito di sangue, i cuori vi sono annegati. Qui le mappe confliggono.
Nessuno si specchia nel sangue versato, ognuno è concentrato sulla sua mappa, ognuno è cartografo di sé stesso, accecato dal proprio percorso, cosicché gli altri si perdono, non trovano la strada di casa, non sanno leggere la segnaletica.
La mappa della città implode, rappresenta tutto e non rappresenta niente. Per alcuni esiste solo Parigi, la Francia, l’Europa, per altri non esiste neppure il ferro della Tour Eiffel. L’universo intero è messo a soqquadro, le strade sono deserte, ognuno percorre un cammino orrendamente solitario. Finisce la comunicazione.
E a me, che sono cartografo, sudano le mani.