Vincitore del premio della Giuria a Cannes, il film di Yorgos Lanthimos è una riflessione grottesca sui rapporti di coppia. A metà tra la commedia romantica e una fantascienza dell’intimità
In un presente distopico la solitudine è vietata dalla legge: le persone single vengono recluse in strutture alberghiere adibite, dove hanno 45 giorni per trovare un’anima gemella – etero o omosessuale non fa differenza – altrimenti verranno trasformate in un animale a loro scelta. David (Colin Farrell) fa il suo ingresso in una struttura del genere dopo essere stato lasciato dalla moglie per un altro uomo con gli occhiali. Porta con sé un cane, che un tempo era suo fratello, anche lui ospite reincarnato di quel luogo sinistro.
Nell’hotel uomini e donne di diversa età e rango sociale si affannano in approcci apatici e stranianti: il punto di contatto è la similitudine, le analogie di coppia, quel “abbiamo tanto in comune” che nella realtà ci raccontiamo ogni giorno, ma che non è sempre la scintilla di una grande storia d’amore.
Appena arrivato, un ragazzo zoppo (Ben Whishaw) cerca una compagna che abbia il suo stesso problema fisico; David, invece, cercherà di compiacere una donna senza cuore fingendo di essere un killer cinico e spietato. È l’amore biunivoco che Platone spiega con la teoria del flusso che intercorre tra gli occhi: secondo il filosofo poteva venirsi a creare una situazione speculare in cui l’amato vede negli occhi di chi lo ama sé stesso perché vede riflessa la propria bellezza.
L’impossibilità di creare un rapporto in quel contesto oppressivo spinge il protagonista a fuggire prima della scadenza del suo periodo di permanenza. Nel bosco poco distante dall’hotel si nasconde una comunità di ribelli “solitari”, dove, l’innamoramento è severamente proibito da regole diametralmente opposte. Nel nuovo gruppo David conosce una ragazza miope come lui (Rachel Weisz) ed è subito un colpo di fulmine per entrambi.
Una riflessione distopica sui rapporti di coppia e sulle concezioni contraddittorie dell’amore attraverso due forme di costrizione speculari: da una parte la millenaria ricerca della propria metà, che diventa ossessione collettiva e legge insindacabile della Città, dall’altra l’individualismo radicale dei ribelli, che si costringono alla solitudine in attesa della morte. Tra i due modelli sono impossibili i compromessi, le vie di mezzo, le sfumature: eterosessuale o omosessuale – l’ipotesi bisex non è contemplata al momento dell’immatricolazione in hotel in quanto eliminata l’anno precedente – single o accoppiato, uomo o animale. In questa prospettiva il finale tronco alla Coen stupisce perché è una via di mezzo incompleta e spiazzante.
Probabilmente l’unico modo di raggiungere la felicità è proprio l’incarnazione grottesca dell’umano in animale, l’abbassamento di tutto ciò che è alto e spirituale, come l’amore, sul piano della terra, del corpo deformato e, perché no, animalesco. È la seconda vita del popolo tipica del grottesco puro tradizionalmente medioevale basata sull’ambivalenza fra morte e fertilità rigeneratrice. Al suo ingresso in hotel David sceglie subito di reincarnarsi in un aragosta, perché è un’animale fertile, longevo e sguazza nel mare che anche a lui piace tanto. D’altronde per gli animali l’attrazione è qualcosa di semplice, istintivo, primordiale, non come l’uomo costretto a reprimere i suoi bisogni animaleschi incompatibili con la società civile.
Yorgos Lanthimos (Kynodontas, Alps) raggiunge una perfetta alchimia fra i generi, che vanno dalla fiaba grottesca alla commedia romantica attraverso la struttura di un film di fantascienza distopica, dove da una parte c’è una tirannia che impone ritmi di vita alienanti e punizioni esemplari, dall’altra un gruppo di ribelli che vive nei boschi.
Il regista abbandona per la prima volta la terra ellenica per l’Irlanda e si avvale di un cast internazionale azzeccatissimo: dai già citati Farrell e Weisz a John C. Reilly (pupillo di Paul Thomas Anderson) e Léa Seydoux (La vie d’Adèle, Spectre, Grand Budapest Hotel).