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“Il sentiero di un corvo” | di Alessandro Senzameno

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30 Ago 2015   di Redazione
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Racconto | «Carlotta chiuse gli occhi. Michele lasciò solo un piccolo bacio sulla guancia di lei “Volevo solo chiederti scusa Carlotta. Nulla più“»

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[Nevermore Repress, di Alessandro Spagnuolo. Altre foto oniriche su Galleria Onirica]

La storia di un uomo che tradisce la donna con la sua testimone di nozze. Troppo banale. Il tradimento con un inserviente dell’IKEA. No, dai non ci siamo. Un bambino malato è troppo triste, una ragazza che rientra dentro casa sua per motivi strani e trova li il suo ex. Già fatto.

Carlotta aveva un grosso problema: non riusciva più a trovare l’ispirazione. Prima le bastava pensare a persone che conosceva, alle volte una in particolare, ma adesso la sua ispirazione sembrava essere arrivata agli sgoccioli.

Qualcuno o qualcosa aveva chiuso il rubinetto e tutte le sue idee, andava a ricercare indizi o altre informazioni utili nei ricordi di racconti più vecchi.

Un medico, no basta medici. Un giornalista, troppo utilizzato dagli altri come personaggio. Un giovane? Bella pensata. Una storia d’amore, un sempre verde ma comunque non originale.

Le porte dell’ascensore dell’albergo, che sino a quel momento le avevano mostrato solo il suo riflesso, si aprirono e le mostrarono un’immagine inedita, se riferita agli istanti precedenti, ma ben conosciuta nei lineamenti e alla personalità, se si pensa alla sua vita e ai suoi ricordi. «Michele!» esclamò Carlotta nel vederlo «Cosa diamine ci fai qui?».

Dal canto suo Michele, che era assorto a leggere un sms con la sua solita faccia inespressiva, mostrata solo quando aveva a che fare con il suo telefono cellulare, non realizzò subito chi era quella donna davanti a lui.

L’ultima volta che l’aveva vista aveva i capelli rossi, l’ultima volta che l’aveva vista i capelli erano lisci, l’ultima volta che l’aveva vista stava salendo su un treno e vestiva con un paio di jeans e una felpa verde marcio. Ora quella donna era bionda, aveva i suoi naturalissimi ricci ad incorniciarle il viso e un tailleur grigio che le donava un’aria professionale.

«Carlotta» un sorriso si allargò sul suo volto «cavolo se ne è passato di tempo!». Non un cenno di abbraccio, né di un saluto formale. Troppo intimi un tempo per essere così freddi, troppo il male che si erano fatti per mostrare un gesto d’affetto o cortesia. Carlotta entrò nell’ascensore «Sali o scendi?» gli chiese. Lui la guardò inarcando un sopracciglio mentre il sorriso non accennava a sparire dal suo volto «io giro, lo sai».

Carlotta premette il bottone argentato con sopra il numero sette. Le porte si chiusero lentamente, l’ascensore cominciò la sua tranquilla salita verso il piano prestabilito. Il silenzio, infastidito solo nel sottofondo dal rumore degli ingranaggi e del motore dell’ascensore, lo ruppe Michele quando finalmente rispose alla prima domanda che gli era stata posta, «sono qui per la conferenza, non avevo dato la disponibilità ma all’ultimo sono riuscito a liberarmi. Tu invece?», Carlotta, che stava giocando con un braccialetto ormai consunto dal tempo, un braccialetto di filo colorato, non si aspettava minimamente quella risposta e trasalì nell’apprendere la notizia.

«Ah, quindi saresti tu l’ospite d’onore che gli organizzatori stanno cercando in tutti i modi di nascondere», «pare di si» rispose lui.

Calò nuovamente il silenzio, e quell’aria rimase ferma fino a quando le porte dell’ascensore non si aprirono. Michele uscì per primo, facendo poi un cenno con il braccio a Carlotta a mo di invito.

«Ma anche tu stai al settimo piano?» domandò lei mentre si incamminava verso la sua stanza con l’amico di vecchia data al seguito. «No» rispose lui «lo sai, io vado girando». Carlotta fermò i suoi passi davanti la porta 703 «Lo sai che ora tu non puoi continuare a girare alle mie spalle vero?», Michele si appoggio al muro con una spalla «ora no … e dopo cena?».

Carlotta lo guardò da dietro un espressione guardinga mescolata ad un sorriso di chi ha appena avuto un’idea geniale, «Solo se farai una cosa per me» disse lei con tono deciso. Michele scosse la testa ridendo in maniera composta «Non sei cambiata affatto» tornò lievemente serio «Dimmi tutto», «Scrivimi un racconto, scrivimelo come facevi un tempo. Non ci vediamo da tanto, forse non ci volevamo nemmeno vedere, però credo che tu me lo deva». Michele si limitò ad alzare un sopracciglio, quindi si girò, portò le mani dietro la schiena e riprese a camminare in direzione dell’ascensore.

Il tubino nero indossato a cena da Carlotta era troppo scollato, già qualche suo collega di altri giornali aveva guardato più tra i suoi seni che i suoi occhi mentre lei cercava di spiegare l’importanza della conferenza. In quei momenti di sconforto misto a schifo per alcuni membri del genere maschile, Carlotta andava girando con lo sguardo per la sala in cerca di Michele, ed ogni volta, lo vedeva scambiarsi calorose strette di mano insieme ad altri convenevoli cerimoniosi. Era diventato bravo a fingere di sentirsi la persona giusta al momento giusto nel posto giusto.

Un animale solitario, un bestia che scruta il mondo da dietro la vegetazione. Una storia di un uomo eternamente solo. Troppo sentimentale per convivere solo con se stesso, troppo avanti con le idee per essere realmente compreso. Un raro essere creato dal laboratorio della natura. 

Michele non si avvicinò mai al tavolo di Carlotta durante la serata, non mostrò mai uno sguardo a lei rivolto. 

Forse è cambiato, forse da quella volta alla stazione ha capito qualcosa.

Una volta in camera sua Carlotta beveva senza troppa avarizia una bottiglietta di martini del frigo bar. Appoggiata al balcone dell’albergo, si stava perdendo tra i suoni della città sottostante.

La storia di un tassista, le storie che sente giornalmente un tassista, un tassista serial killer sulla falsa riga di Jack lametta. Idee malsane, idee inattuabili. 

Bussarono alla porta, forse qualche collega memore della scollatura che era venuto a cercare vana gloria presso la sua stanza. I passi ovattati dei piedi scalzi sulla moquette la portarono velocemente alla porta, veloce fu anche il gesto per aprirla.

«Aspettavi qualcuno che nemmeno chiedi chi è che bussa alla tua porta?», Carlotta non aveva dato troppo credito a Michele, il pensiero che potesse essere realmente cambiato era più un’utopia. Esitante rispose «Magari era un corvo» sorrise lei e così anche lui che subito replicò «non vorrai mica farmi entrare dalla finestra?!».

L’espressione di Carlotta ora tornò sicura «avevi un solo modo per entrare in questa stanza» disse «quindi?». Michele aprì la porta con una mano e superò Carlotta, arrivato vicino al frigo bar vi lasciò sopra alcuni fogli, quindi si andò a sedere sul soffice letto coperto da una trapunta dozzinale per alberghi di lusso.

Incredula lei prese tra le mani quei fogli, facendovi scorrere sopra gli occhi velocemente.

Carlotta aveva un grosso problema: non riusciva più a trovare l’ispirazione. Prima le bastava pensare a persone che conosceva, alle volte una in particolare, ma adesso la sua ispirazione sembrava essere arrivata agli sgoccioli. Qualcuno o qualcosa aveva chiuso… L’ultima volta che l’aveva vista aveva i capelli rossi, l’ultima volta che l’aveva vista i capelli erano lisci, l’ultima volta che l’aveva vista stava salendo su un treno e vestiva con un paio di jeans e una felpa verde marcio. Ora quella donna era bionda, aveva i suoi naturalissimi ricci.
 
Voltò le pagine e continuò a muovere freneticamente gli occhi sull’inchiostro di penna blu.

Il tubino nero indossato a cena da Carlotta era troppo scollato, già qualche suo collega di altri giornali aveva guardato più tra i suoi seni che i suoi occhi mentre lei cercava di spiegare l’importanza della conferenza. In quei momenti di sconforto misto a schifo per alcuni membri del genere maschile, Carlotta andava girando con lo sguardo…

«Non lo avrei mai detto» riuscì finalmente ad affermare Carlotta mentre Michele la fissava con un sorriso beffardo in volto.

«Quindi?» rispose lui.

Carlotta sorrise, era felice, aveva mille idee che le giravano per la testa. Andò a chiudere la porta per poi tornare davanti a Michele che intanto era rimasto seduto sul letto. Portò le mani dietro la schiena ad abbassare la zip del suo tubino, che pochi istanti dopo cadde a terra. Michele si alzò a quel punto, le poggiò le mani sulle spalle e si avvicinò al suo viso. Carlotta chiuse gli occhi. Michele lasciò solo un piccolo bacio sulla guancia di lei «Volevo solo chiederti scusa Carlotta. Nulla più», abbassò lo sguardo, poi tornò a fissarla negli occhi. Palesemente dispiaciuti da una parte, palesemente riconoscenti dall’altra. Senza più dire nulla lei lo vide muoversi verso la porta, lo vide aprirla e richiuderla alle sue spalle. Il giorno dopo l’intervento dell’ospite d’onore era stato annullato.

La storia di un uomo che vive in una città nella quale ci sono solo due linee di metro. Lui la prende solo in una direzione senza mai vedere l’altra e si narra ciò che vede. Nell’altra però c’è un altro uomo. Quindi è la storia di due uomini, che prendono strade diverse e perpendicolari. Due uomini in una città con due vie. Alla fine si incontrano e chissà quante storie avranno visto prima di capire quanto le cose siano diverse e al contempo restino uguali, a modo loro.

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