Novità sul fronte della cittadinanza ai figli di migranti. Da settembre se ne discuterà a partire da un testo che riassume un po’ tutte le proposte fatte in questi mesi da tutte le parti politiche. Ma per il centrodestra sono ancora molti i punti da modificare
Per la prima volta per ottenere la cittadinanza italiana potrebbe non contare più solo il sangue. O almeno così fa sperare il testo unificato depositato mercoledì scorso alla Camera, sulla riforma della legge 91/92. Al suo interno sono presenti più di 20 proposte presentate nel tempo sul tema della cittadinanza ai minori stranieri, sintetizzabili nella seguente richiesta: ius soli temperato per chi nasce in Italia, ius culturae per chi arriva qui entro i 12 anni di età. Detto altrimenti, potranno diventare italiani i bambini nati qui da migranti regolarmente soggiornanti da cinque anni (o residenti da uno) e quelli arrivati successivamente ma che hanno frequentato la scuola per almeno cinque anni.
Ius soli temperato
Uno ius soli “puro” assegnerebbe la cittadinanza in base al luogo di nascita del minore e non alla nazionalità di padre e madre. In Italia attualmente vige invece il principio dello ius sanguinis, secondo il quale si può essere italiani solo se uno dei due genitori lo è. Questo ha comportato, finora, situazioni anche alquanto paradossali, come ad esempio bambini mai usciti dal suolo italiano ma comunque costretti ad aspettare la maggiore età per iniziare l’iter di richiesta della cittadinanza.
Grazie a questa nuova versione soft del “diritto del suolo” sarà possibile trovare un punto d’incontro tra i due estremi, nonché tra due parti politiche. Finora era previsto solo nei casi di apolidia, ma ora potrà ottenere la cittadinanza anche chi è nato in Italia da almeno un genitore legalmente soggiornante da 5 anni (antecedenti alla nascita del figlio). E per chi non è semplicemente soggiornante ma residente in maniera continuativa, i tempi si ridurrebbero ad un anno. Una proposta che unisce le richieste di diverse realtà, ma che ancora non trova tutti d’accordo: la campagna “L’Italia sono anch’io” aveva infatti chiesto solo un anno di soggiorno legale, mentre per il Movimento 5 stelle era necessaria una residenza di almeno tre anni e per Sel poteva bastare una residenza legale di un anno.
In ogni caso non si tratterebbe di un processo automatico. È necessario infatti che almeno uno dei due genitori ne faccia richiesta attraverso una dichiarazione di volontà presso il Comune di residenza del minore, da annotare a margine dell’atto di nascita. In caso contrario il diretto interessato, una volta maggiorenne, avrà due anni di tempo per richiederla (o per rinunciarvi, qualora non fosse d’accordo con la decisione presa dai suoi tutori).
Ius culturae
L’idea di legare la cittadinanza al percorso scolastico spesso viene presentata come l’unica iniziativa che il centrodestra approverebbe, se non fosse che anche lo stesso premier Renzi l’ha definita come necessaria in più occasioni. Lo ius culturae prevede che i figli di stranieri giunti in Italia entro i 12 anni di età potranno acquisire la cittadinanza se frequenteranno regolarmente per almeno cinque anni gli istituti scolastici italiani, o in alternativa “percorsi di istruzione e formazione professionale idonei al conseguimento di una qualifica professionale”.
Nel testo presentato alla Camera si parla anche di questa possibilità, rifacendosi alle proposte depositate da parlamentari come Renata Polverini (Forza Italia) e Dorina Bianchi (Area popolare Udc-Ncd). Anche chi arriva tra i 12 e i 18 anni potrà richiederla, a patto che frequenti il ciclo scolastico richiesto e che risieda in Italia almeno 6 anni. Una novità che per molti figli di stranieri non è altro che una conferma di ciò che già avviene normalmente, ma che per molti altri significherebbe rinunciare definitivamente all’idea di far frequentare ai propri figli due scuole contemporaneamente. È il caso ad esempio di molti genitori bengalesi, che nel corso dell’anno mandano i propri figli anche a scuola in Bangladesh per non fargli perdere il legame con la propria cultura di provenienza.
Divergenze e punti critici
A svolgere il ruolo di relatrice è stata Marilena Fabbri del Partito Democratico, che dopo mesi di lavoro ha presentato il testo presso la Commissione Affari Istituzionali: sarà la base della discussione a partire da settembre. Anche Annagrazia Calabria di Forza Italia faceva parte della squadra, salvo poi ritirarsi per divergenze nella stesura. Un abbandono che è stato giustificato come una difesa dell’«identità italiana» e una reazione ad un eccesso di «buonismo». A lei e a molti suoi colleghi di partito (in prima fila Renato Brunetta e Maria Stella Gelmini) non è piaciuta affatto la piega che stava prendendo quel documento. Da come hanno difeso la loro posizione pare di capire che per il centrodestra — o almeno per la parte che loro rappresentano — la questione della cittadinanza alle seconde generazioni rifletterebbe un diritto acquisito e non conquistato meritocraticamente. In poche parole non si tratterebbe di una necessità reale, quanto piuttosto di una moda del momento nata sull’onda della recente emergenza migratoria.
Poco importa che non si tratti di una emergenza né tanto meno di un fenomeno recente, o che le persone in questione godano di una posizione regolare nel nostro Paese: ancora una volta quello che dovrebbe essere ormai un dato di fatto, ampiamente dimostrato da dati già esistenti e verificabili, viene lasciato alla discrezionalità dei partiti politici. L’immigrazione e l’aumento dei migranti di seconda generazione continua insomma ad essere percepito come un’opinione, per non dire un atto di fede. Un (pre)giudizio che sta alla personalissima esperienza e ideologia politica dei singoli: c’è chi crede non siano così tanti e chi che siano troppi, chi li confonde ancora con i rifugiati e chi si sente attaccato da qualcuno che, solo con la sua presenza, inquinerebbe la sua amata cultura italica. E il guaio è che tutte queste opinioni hanno lo stesso peso sulla bilancia delle decisioni. Nel frattempo quei ragazzi nascono qui, frequentano le scuole italiane e vivono esattamente come gli italianissimi figli di queste stesse persone. Ma sentirsi italiani, finora, non è mai bastato a renderli tali di fronte alla legge.