Dopo aver aver tenuto in scacco l’Europa, il premier greco propone alla troika un piano più duro di quello che gli era stato proposto, scatenando il “No” del popolo. Secondo molti, anche nel suo partito, avrebbe negato quello straordinario risultato. Ma perché lo ha fatto?
Il governo greco ha presentato la sua proposta ufficiale ai creditori, dove accetta quasi tutte le richieste avanzate dalla troika nelle lunghe trattative che si sono succedute negli scorsi mesi. Entro domenica i creditori internazionali dovranno fornire delle risposte definitive sull’accettazione del ‘piano Tsipras’, consci che questa è l’ultima occasione per chiudere una partita fin troppo estenuante.
Saranno state le dimissioni di Varoufakis, il caldo oppure lo stress per una trattativa che l’ha portato ad esaurirsi, ma Tsipras non sembra certo uscito bene da questo primo confronto post referendum. Perché indire un referendum, ottenere un mandato popolare per rifiutare le drastiche pretese europee e poi accettarle solo una settimana dopo? Il “tradimento” nei confronti del popolo greco e di tutti gli indesiderati passeggeri del carro vincitore della sinistra europea a causa del piano Tsipras è sulla bocca di tutti. «È impazzito?» e ancora «ma allora che senso ha avuto il referendum?». Domande che è difficile non porsi dopo lo storico risultato referendario. Ma per capirne la presunta follia è innanzitutto necessario studiare cosa prevede il piano Tsipras.
► Bilancio. La Grecia si impegna a rispettare gli obiettivi sull’avanzo primario, riducendo la spesa pubblica e spendendo meno di quanto incasserà con le tasse. Nel dettaglio la spesa si ridurrà dell’1% nel 2015, del 2% nel 2016, del 3% nel 2017 e del 3,5% nel 2018.
► Trattamento isole. Ad eccezione di quelle più remote e meno redditizie, per tutte le altre ricche località turistiche verrà meno lo sconto del 30% sull’Iva, come già da tempo richiesto all’unisono da tutti gli Stati Ue.
► Iva. A partire da ottobre entreranno in vigore gli aumenti dell’Imposta sul valore aggiunto. Il 6% ricadrà sui farmaci, il 13% sui prodotti alimentari ed il 23% sui ristoranti e le attività turistiche.
► Riforma delle pensioni. Per omologarsi ai vicini italiani, anche i greci andranno incontro a un progressivo aumento dell’età pensionabile, che raggiungerà quota 67 anni nel 2022 e farà risparmiare nei prossimi due anni circa un punto e mezzo di Pil.
► Privatizzazioni. Il porto di Atene, quello di Salonicco e numerosi aereoporti, nonché la società pubblica per l’elettricità saranno (s)venduti per fare cassa.
► Lotta ad evasione e corruzione. Sempre su imitazione del modello italiano sarà istituita un’agenzia indipendente per il recupero delle tasse non versate dai contribuenti. Una simil-Equitalia, che dal primo giorno sarà sommersa di lavoro, data la gavità della situazione greca su questo fronte.
► Riforma fiscale. Aumenteranno dal 26% al 28% le tasse per le imprese e verranno rimosse tutte le agevolazioni anticoncorrenziali dei trasporti marittimi. Inoltre la tassa sui beni di lusso sarà estesa alle navi da diporto più lunghe di 5 metri e passerà dal 10 al 13%. Particolarmente rilevante per i bilanci statali sarà però il taglio di 100 milioni di euro nel 2015 e ben 200 nel 2016 per il settore militare.
In sostanza, il piano prevede complessivamente tagli per 12,5-13 miliardi nel biennio 2015/2016 mentre quello rifiutato il 30 giugno ne prevedeva circa 8,5. Qualcosa non torna, dunque. E il dubbio che con la sua ostinazione politica Tsipras abbia peggiorato la situazione è quantomai legittimo, tant’è che anche la parte più radicale del suo partito sembra abbia deciso di scaricarlo per impedire queste condizioni disastrose. Ma dopo mesi di trattative frenetiche a tutto questo dev’esserci una ragione. Va pur bene pensare ad una cessione politica, ma da molti è stata riportata come una resa.
A ben guardare le cose non appaiono poi così lontane dalla ragione. A fine giugno Tsipras avrebbe dovuto accettare un piano di tagli da 8,5 miliardi per ottenere un prestito da 7,5 miliardi, un tesoretto utile solo per rimborsare il Fmi e “sopravvivere” qualche settimana o pochi mesi, per poi tornare in uno stato di insolvenza entro l’autunno. Il piano Tsipras, invece, prevede sì tagli per 13 miliardi di euro, ma condizionati da un cospicuo carico di risorse intorno dal valore di 53,5 miliardi di euro. Denaro sufficiente per un piano di ristrutturazione del debito ed un parallelo respiro di sollievo di durata almeno biennale, periodo in cui Tsipras dovrebbe ovviamente varare tutte le riforme promesse.
Molte delle misure esaminate entrerebbero in vigore solo in un secondo momento o a distanza di mesi, permettendo a Tsipras di mantenere fede agli impegni presi con gli elettori e prendere tempo con i creditori, magari cercando di ottenere sempre nuovi sconti in in seguito ai singoli provvedimenti adottati. Si può pensare che Tsipras sia impazzito e abbia tradito il suo popolo o si può credere che tutto questo sia stato fatto in nome di una prospettiva di ampio respiro per non aprire un conflitto intergenerazionale che sembrava inevitabile. Certamente quella del premier greco resta una proposta audace, che non è piaciuta a diversi membri del suo stesso partito, ma il tempo per le contrattazioni e il temporeggiamento dinanzi all’Europa è ormai finito.