Come se il bilancio e il referendum non fossero abbastanza, il governo Tsipras deve fare i conti con l’ondata migratoria più grande della sua storia. Secondo l’ultimo comunicato delle Nazioni Unite, la via del Mediterraneo orientale ha ormai superato quella diretta alle nostre coste. Tra mancanza di personale e risorse, la situazione è grave
Non solo il debito. A mettere in crisi Atene c’è anche un afflusso di migranti senza precedenti, con 68 mila arrivi dall’inizio dell’anno contro i 67.500 dell’Italia. Confermando, dunque, la prima posizione del territorio greco in quanto a numero di arrivi. Secondo l’UNHCR, che ha diffuso questi dati, si tratta di un numero record che ha raggiunto ormai proporzioni storiche: l’aumento rispetto al primo semestre del 2014 è pari all’83 per cento, e per il governo ellenico si tratta di un fenomeno particolarmente difficile da gestire.
Dall’inizio di giugno il numero di migranti che ha utilizzato la rotta orientale dalla Turchia alla Grecia è aumentato drammaticamente. La maggior parte provengono da Paesi in guerra come Siria, Afghanistan, Iraq e Somalia. “Dalla Grecia si spostano attraverso i Balcani verso l’Europa settentrionale e occidentale”, come si legge nel recente rapporto dell’Onu. Ma la questione migratoria è strettamente collegata anche al futuro ruolo della Grecia nell’Unione Europea: se Atene dovesse uscire dall’euro, secondo Demetrios Papademetriou (presidente del Migration policy institute Europe), l’Europa sarebbe costretta a inviare “aiuti umanitari” a un Paese troppo povero per gestire simili flussi. E la situazione non farà che peggiorare, dal momento che con l’estate e il clima favorevole gli sbarchi tendono sempre ad aumentare.
A farne le spese sono soprattutto le piccole isole dell’Egeo nord-orientale, come Lesvos, Chios, Kos e Samos. Luoghi che a breve si riempiranno di turisti, e che stanno cercando come possono di accogliere i migranti in strutture di fortuna dove spesso i bagni sono fuori uso e le condizioni igieniche pessime. Ma siamo comunque ben lontani dai pressi del fiume Evros, al confine con la Turchia, dove nel 2012 è stato fatto costruire un muro alto quasi quattro metri e dove sono tuttora presenti mine antiuomo.
Proprio come l’Italia, anche la Grecia è una meta di passaggio; proprio come l’Italia, anche la Grecia non viene “scelta” dai migranti per il buon cibo e la brava gente, ma per la posizione geografica che occupa. Qui però le procedure sono leggermente diverse rispetto a Lampedusa: i nuovi arrivati non cercano di fuggire, ma fanno la fila per farsi prendere le impronte digitali. Questo perché prima vengono registrati e prima sono autorizzati ad andarsene ad Atene con uno dei due traghetti giornalieri, dove hanno più opportunità di fuga verso l’Europa occidentale. Tutti quelli che decidono di non chiedere asilo politico (quindi la maggior parte) sono obbligati a lasciare il Paese entro 30 giorni; discorso diverso per i siriani, che a causa della situazione nel loro Paese possono rimanere in Grecia sei mesi prima di venire espulsi. Un beneficio, se così si può chiamare, che gli è concesso in quanto rappresentanti della comunità più numerosa di rifugiati, che ha da poco superato quella afghana.
Eppure un vero e proprio sistema di screening ancora non esiste, come ha denunciato Amnesty International. Il blocco delle assunzioni nel sociale causato dalla crisi, unito a un’insufficiente pianificazione e a un uso finora inefficace dei fondi europei, ha comportato secondo la celebre organizzazione l’incapacità delle autorità greche di venire incontro ai bisogni dei rifugiati. I primi a subirne le conseguenze sono come sempre i più vulnerabili, in primis i minori non accompagnati, che in questo modo non vengono individuati e non viene riservato loro il trattamento specifico che gli spetterebbe di diritto. Amnesty parla di “1097 minori non accompagnati arrivati via mare e alla foce del fiume Evros nel 2014 e di 216 arrivati tra il primo gennaio e il 3 giugno 2015”, specificando però che si tratta probabilmente di numeri inferiori a quelli effettivi. A causa del limitato numero di posti nei centri a loro dedicati, infine, molti vengono trattenuti in veri e propri centri di detenzione per tempi anche piuttosto lunghi (in media 37 giorni).
Le condizioni di sovraffollamento sono critiche più che mai e ben al di sotto di qualsiasi standard nazionale e internazionale. Nonostante la chiusura del centro di Amygdaleza lo scorso febbraio e la promessa di svuotare progressivamente tutti i restanti, le condizioni per trovare soluzioni alternative al momento non ci sono. A completare il quadro c’è poi la carenza di personale, sia per l’assistenza medica e psico-sociale che per quella amministrativa. Per questi motivi chi chiede asilo in Grecia è spesso obbligato a rimanere nei centri di detenzione per diverse settimane solo per attendere di registrare la domanda.
A peggiorare una situazione già delicata potrebbe essere l’Ungheria, che avrebbe ordinato la chiusura del confine nazionale ed europeo con la Serbia e la costruzione di un muro lungo la frontiera per impedire l’accesso ai migranti. Un ostacolo che renderebbe più difficile il loro viaggio ma che, come la storia di ogni simile fortezza ci insegna, non basterà ad impedirgli di partire. Anche perché non è esattamente di scelte che stiamo parlando.