Le due superpotenze asiatiche non badano a spese per aiutare il piccolo stato vicino dopo il sisma. Uomini, mezzi, farmaci, cibo e circa 3 milioni di dollari ciascuno. Una corsa alla solidarietà? Non solo. In ballo c’è la storica contesa per il controllo di quella striscia di terra. Oggi con finalità più economiche che politiche: i lavori di ricostruzione e, non ultimi, i fiumi alimentati dai ghiacciai himalayani
— di Serena Console
Con epicentro nei pressi della capitale Kathmandu, il terremoto in Nepal dello scorso 25 aprile ha messo in ginocchio uno degli Stati più poveri al mondo, portando il valore del Pil a quello della decade precedente. Il presidente nepalese Ram Baran Yadav, a seguito dell’accaduto, ha lanciato una richiesta di aiuto alla comunità internazionale per far fronte, unitamente, alla tragedia. Il terremoto in Nepal ha causato danni ingenti, colpendo il territorio, distruggendo numerosi siti archeologici e causando più di 6.000 vittime, cifra che sembra destinata ad aumentare.
Quando la notizia della forte scossa si è diffusa, a Kathmandu sono arrivate task force di medici, farmaci, strumenti logistici e finanziamenti di differenti Paesi: un milione di dollari dagli Usa, 3,2 milioni di dollari dall’Ue e, rispettivamente, 3,2 milioni di dollari dalla Cina e altrettanti dall’India. Sono evidenti, quanto eclatanti, le proporzioni dell’aiuto offerto dalle due super potenze asiatiche.
Nella serata di sabato 25 aprile, il primo ministro indiano Narendra Modi ha ordinato l’invio di quattro aeri con un personale di 300 soccorritori, forniture mediche e cibo, senza aver dimenticato di twittare le sue condoglianze al popolo nepalese. Ha giustificato la sua solidarietà evidenziando la vicinanza storica e culturale tra i due Paesi a maggioranza indù. Nel frattempo, la Cina ha disposto l’arrivo nella capitale di una squadra di ricerca e di salvataggio con 62 soccoritori con sei cani addestrati e forniture mediche. Inoltre, Pechino ha annunciato l’intenzione di triplicare l’aiuto di 3,2 milioni di dollari già concessi all’indomani del terremoto in Nepal e di allargare le file di soccorritori con l’invio di altri 215 uomini.
Ma che cosa spinge le superpotenze indiana e cinese a rispondere prontamente alla crisi umanitaria che ha colpito il loro vicino? Oltre a ragioni di contiguità geografica e solidarietà, non mancano quelle spiccatamente geopolitiche. Il piccolo stato himalayano, infatti, è situato tra Cina e India, e conteso dai due colossi sin dai tempi di Mao e Nehru. Pechino sta investendo miliardi di dollari in Nepal per progetti autostradali, centrali elettriche e fabbriche. Lo scorso anno, inoltre, ha offerto un contributo annuale di 125 milioni di dollari per scoraggiare le autorità nepalesi a offrire rifugio ai tibetani in fuga dalla Cina. Ma Nuova Dehli ha da sempre un grande peso politico in Nepal, al punto da affiancare e determinare le coalizioni partitiche. Basti pensare che i militari nepalesi prestano servizio nel reggimento Gurkha dell’esercito d’India e si addestrano nelle basi indiane.
Andando oltre le ragioni storiche, l’accesa rivalità tra i due Paesi è dovuta in particolare alla crescente influenza della Cina nel povero Stato himalayano. Dall’anno scorso è diventata il maggiore investitore straniero, impiegando migliaia di dollari nella costruzione della prima autostrada a otto corsie del Nepal. E questo non piace all’India, che monitora la situazione interna del Nepal per impedire alla Cina di ottenere ulteriori spazi territoriali, politici ed economici. Perché economico è l’obiettivo delle due superpotenze asiatiche.
Si tratta dei fiumi alimentati dai ghiacciai dell’Himalaya: oltre 6.000 corsi d’acqua, che potrebbero fornire un terzo dell’energia elettrica ai vicini. A basso costo, ovviamente. Secondo Bloomberg, mentre il Nepal sfrutta solo l’1% delle risorse di cui dispone, vivendo in totale blackout elettrico per 16 ore al giorno. «Il Nepal può diventare un paese ricco grazie alla vendita di energia elettrica all’India», ha detto Modi in visita al Parlamento del Nepal ad agosto 2014. Chiaramente, il primo ministro indiano si riferiva al naturale flusso delle acque, che dal sud dell’Himalaya scorrono verso gli stati più popolosi dell’India.
Anche nel pieno della crisi umanitaria dopo il terremoto in Nepal, il governo locale è riluttante all’ipotesi di incrinare i rapporti con Cina e India,. Non è un caso che Kathmandu abbia rifiutato l’offerta di squadre di soccorso venuta da Taiwan, affermando di volerne ricevere solo dai Paesi limitrofi. Senza spiegare perché abbia accettato aiuti da Unione Europea, Stati Uniti, Australia e Gran Bretagna. Ovviamente, non è che un modo per non dispiacere al governo cinese, che è solito rifiutare legami diplomatici ed economici con i Paesi che riconoscono Taiwan uno stato indipendente. A quanto pare, il Presidente nepalese Ram Baran Yadav valuta le dinamiche geopolitiche prioritarie rispetto al drammatico numero di vittime che continua a crescere.