«Continuo a sentirmi inadeguato», confessa il regista durante la conferenza stampa del suo ultimo film, “Mia madre”. E questo suo perenne sentore è stato inevitabilmente riflesso in ogni protagonista dei suoi film, con le dovute sfumature. Eccone una breve carrellata
Nel suo ultimo film Nanni Moretti mette a nudo il dolore profondo per la perdita della madre, morta nell’ottobre del 2010 durante la post-produzione di Habemus Papam. L’attesa dell’inevitabile vista attraverso gli occhi di Margherita Buy, regista egocentrica impegnata nelle riprese di un film politico, e di suo fratello (Moretti stesso) uomo attento e razionale, che lascia il lavoro per prendersi cura della madre malata.
«Continuo a sentirmi inadeguato», confessa durante la conferenza stampa del film. Eppure è uno dei registi italiani più apprezzati in Europa degli ultimi quarant’anni, le battute dei suoi film sono citate a memoria come degli intramontabili tormentoni. «Anzi», aggiunge, «più passa il tempo più mi sento a disagio. Non posso farci niente». Ma non è una novità. I suoi alter ego sul grande schermo sono sempre stati pregni di questo senso di inadeguatezza, dagli attori sciagurati del teatro sperimentale in Io sono un autarchico, al santo pontefice in crisi di identità di Habemus Papam.
Un’inettitudine che non sa mai di autocommiserazione, ma che esplode spesso in un flusso di delirante narcisismo. «Come ci si fa a innamorare di uno diverso da me?» si chiede Michele Apicella dopo essere stato abbandonato dalla sua compagna in Io sono un autarchico. Ecco l’occasione per fare un breve sommario dell’inadeguatezza morettina in cinque scene cult, senza cadere nel citazionismo scontato.
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Ecce Bombo (1978)
Logorroiche divagazioni senza fine di quattro ex sessantottini, nell’opera che ha consacrato Moretti dopo il debutto con Io sono un autarchico. Probabilmente il suo film più autobiografico, almeno prima di Mia madre, che ha come sfondo i grandi movimenti studenteschi. I flussi di (iper)coscienza al telefono sono un topos nella sua filmografia, da Io sono un autarchico ad Aprile.
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Sogni d’oro (1981)
Moretti/Apicella è un giovane regista frustrato dall’industria culturale arida con cui si trova a fare i conti, fra i postumi del perbenismo democristiano e il qualunquismo dei suoi stessi discepoli, che già lo considerano un maestro. Nella sfida televisiva fra Apicella e il suo “collega-giovane-regista”, i due usano tutte le armi a propria disposizione per agguantare il favore del pubblico. In una spettacolarizzazione del trash già tipica di quella che Eco chiamava “neotelevisione”.
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Bianca (1984)
Michele Apicella insegna matematica presso l’istituto Marilyn Monroe, surreale liceo superiore dove la foto del presidente dela Repubblica è sostituita da quella di Dino Zoff e i docenti tengono lezioni su Gino Paoli. Prigioniero delle sue manie di perfezionismo Michele osserva e controlla le vite sentimentali degli altri, non riuscendo a vivere la propria. Ecco che succede quando decide di «buttarsi nella mischia».
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Caro diario (1993)
Vincitore della Palma d’oro come miglior regia, è un film diario diviso in tre episodi, in cui Moretti racconta se stesso, come spesso accade, a quattro anni di distanza dal precedente Palombella Rossa. Dalle passeggiate in vespa durante la torrida estate romana, all’odissea terapeutica che culminerà in un cancro benigno, Moretti diventa sia referente che significante, in una raccolta di appunti sparsi che distruggono l’idea stessa di film narrativo. In questa scena il regista riassume il suo legame indissolubile con le “minoranze”.
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Habemus Papam (2011)
Nel 2009 durante la Mostra Internazionale del Cinema di Venezia Dino Risi disse: «Quando vedo un lavoro di Nanni, mi viene sempre voglia di dirgli: spostati e fammi vedere il film». Già a partire da Il Caimano il suo discusso protagonismo comincia a venir meno. Il Moretti personaggio si mette un po’ da parte, tentando di esorcizzare le proprie paure e nevrosi attraverso altri personaggi, proprio come in Mia madre, in cui Margherita Buy altri non è che lui. Dopo le dimissioni di Benedetto XVI c’è chi definì profetico il film di Moretti, in realtà l’intenzione del regista era tutt’altra. Stanco del ruolo e della fama internazionale di regista di sinistra che gli è stato cucito addosso, Moretti trasfigura la sua inadeguatezza nel cardinale Melville (Michel Piccoli), in crisi depressiva dopo l’onerosa nomina del conclave.