Dopo varie esperienze precedenti, il trio umbro pubblica “Flags”, disco tinto di elettronica e del pop più orecchiabile, che già al suo esordio promette benissimo
C’erano una volta i Music Pushers, band umbra electropop che diede alle stampe un disco intitolato “Far into the night” e in seguito un Ep “Breathe me in”. Quell’avventura non ebbe seguito, ma dalle ceneri del progetto “rinascono” i tre che daranno vita ai Crayon Made Army. I tre sono rispettivamente Fabio Marchi, vocalist diplomato al St.Louis College of Music a Roma in scienze e tecnologie della produzione artistica, dove ha anche studiato canto, Filippo Miciarelli, anche lui voce e diplomato nel medesimo corso, specializzato in regia e montaggio, e il dj e compositore Michele Rotelli.
Le esperienze sicuramente divergenti dei tre hanno potuto dar vita al progetto “Etichetta disco-grafica”, fatto di performance audio-visuali. I Crayon Made Army nel loro esordio “Flags” sintetizzano queste precedenti esperienze, spostando il baricentro del loro genere verso produzioni dal respiro più internazionale, rifacendosi soprattutto all’elettronica mittel e nordeuropea. Una tendenza di certo non nuova, ma che i Crayon Made Army sono riusciti a sposare con una base pop e cantautoriale piuttosto presente nelle strutture delle loro canzoni.
Registrato tra Italia e Olanda, “Flags” vede avvicendarsi in cabina di produzione Paolo Mauri (già produttore per i Sottotono, i Prozac+ e gli Afterhours) e Marco Cappiello, che ha curato soprattutto le registrazioni in quel di Rotterdam. E il risultato scorre via liscio, senza sbavature, lasciandosi ascoltare volentieri dall’inizio alla fine. Come già detto poc’anzi, lo spirito cantautoriale (specie di stampo anglosassone) e arpeggi di chitarra acustica e pianoforte vanno a incastrarsi fluidamente in mezzo a fioriture synthpop curate con una maniacalità ammirevole, segno di grande maturità ed esperienza pregressa dei tre. Quello che si va ad ascoltare ricorda ora i Pet Shop Boys, ora – seppur da lontano – Björk, ora Jónsi (Sigur Rós), ma anche qualcosa dei múm.
Il tutto rimescolato nel segno dell’orecchiabilità e della godibilità. La scaletta stessa inanella un’ottima giostra di momenti più spiccatamente dream pop ad alternanze leggermente più tronfie di beat e drum machine un po’ da club londinese un po’ dubstep come Tin Soldiers, Hilum e Here. Anche se a volte le tinte “pastello” dei suoni rischiano di sprofondare troppo nei brani dance à la Mtv Dancefloorchart che ha edulcorato i timpani “club” dei pischelli di inizio millennio (il sottoscritto non se ne esime).
Ma nonostante ciò possiamo affermare piuttosto decisamente che scovare nel mucchio un trio come i Crayon Made Army rappresenta una più che gradita sopresa nell’electropop italiano. Pezzi come il singolo di lancio Pristine, Breathe me in (ripresa dai precedenti Music Pushers) e la conclusiva Azimuth sono un eccezionale connubio tra classe e raffinatezza compositiva e spontaneità del pop più acchiappone. Alcuni citano la scarsa riconoscibilità “italica” dei tre come un pregio. Questa cosa puzza di esterofilia un po’ forzata. Forse il vero pregio sta alla base, cioè proprio nella qualità e nelle potenzialità espresse. E non possiamo che attendere con delle buone aspettative un secondo disco, sperando che i Crayon Made Army non cambino ancora volto e nome.