Racconto | «Vidi degli uomini che stavano picchiando una donna. Urlavano e la insultavano. Mi ci volle qualche secondo per capire che quella donna era proprio Lucia»
[Acquerello di Raisa Mele]
Siamo amiche.
Siamo amiche da sempre. Non ricordo nemmeno la prima volta che la incontrai. Nella mia mente c’è sempre stato il suo sorriso e la sua voglia di vita e di andare contro le regole. Per lei tutto era una sfida. Tutto doveva essere affrontato, bersagliato, vinto. E lo faceva con il suo bellissimo sorriso.
Abitavamo nello stesso quartiere, in case poco distanti. Tutti i bambini che vi abitavano erano molto più grandi di noi. Io e lei eravamo le uniche femmine. Ci chiamavano “le gemelle”, perché eravamo nate un anno a distanza dell’altra ed eravamo inseparabili.
Lei era bionda. Con i boccoli sempre disordinati e gli occhi castani, ma di un castano limpido e sereno. Si chiamava Lucia.
Ricordo che giocavamo sempre. Eravamo sempre in disparte. Una andava a casa dell’altra – i nostri genitori non ci permettevano di farci allontanare troppo da casa. Solo quando abbiamo raggiunto l’età dei quattordici anni, avevamo il permesso di esplorare la zona. Abitavamo in un piccolo paese di contadini. La guerra lo aveva devastato. Talvolta ci imbattevamo ancora in case in rovina e in vecchie armi abbandonate.
Quel giorno ero turbata. Mia madre, di mattina, mi aveva avvisato che, essendo ormai una signorina, tra qualche anno avrei fatto bene a sposarmi. Perciò, dovevo cominciare a imparare ad essere una moglie perfetta: cucinare, stirare, pulire e perfino avere un bell’aspetto per compiacere il proprio marito.
Confessai tutto a Lucia, mentre eravamo sdraiate a goderci il sole dell’estate.
«Anche mia madre mi ha avvisato. Ma io so già chi sposerò».
Mi alzai per guardarla. «Davvero? E chi sarebbe?»
Mi fece l’occhiolino. «Questo è un segreto».
Diventai triste. Non capivo perché ci doveva essere così fretta di sposarsi. «Io non voglio. E poi non so nemmeno come si fa a baciare un ragazzo»
«Posso insegnartelo io»
«Da quando tu sai baciare?»
Mi prese il volto tra le mani. «Devi solo avvicinarti lentamente, vedi?» Sentivo il suo respiro sul mio. «E poi avvicinare le labbra, appoggiarle piano, così…» Sentivo le sue labbra bagnate sulle mie e cominciai a sentire il cuore battere all’impazzata.
«Non staremo commettendo peccato, Lucia?»
«Gesù vuole che ci amiamo», mi rispose e mi stampò un semplice bacio sulle labbra. Allontanò il volto, mi fissò e scoppiò a ridere. «Sei tutta rossa!»
«Ci credo! Sei così diretta!»
Mi abbracciò forte. «Ti voglio bene, Lucia. Rimarremo amiche anche dopo i nostri matrimoni?»
La strinsi forte a me. «Non rinuncerò a te per niente al mondo».
Crescemmo. I ragazzi cominciarono a farci la corte. Tra tutti i “pretendenti”, scelsi un ragazzo dolce e timido, Giovanni. Mi sembrava il classico ragazzo che non avrebbe mancato di rispetto a sua moglie. Il corteggiamento fu lungo e durante esso dovetti rinunciare ad una parte di me: Lucia.
Un giorno ci fu l’occasione per entrambe di stare da sole insieme. Ad un certo punto cominciò a prendermi in giro: «È disdicevole per una ragazza fidanzata andare in giro senza il suo promesso uomo!»
«Ah, ma che dici? E poi una proposta non me l’ha ancora fatta!»
«La farà, la farà. Sei bella e gentile».
«Grazie». Stavamo passeggiando lungo uno dei nostri percorsi preferiti. Passammo davanti al punto dove mi baciò, anni prima. Mi sedetti sull’erba e guardai il sole. «Ma tu non hai proprio intenzione di accettare nessuno?»
Alzò le spalle. «Come dire… Nessuno è abbastanza interessante per me».
«Vorrei tanto capire cosa cerchi in un uomo».
Si sdraiò accanto a me, a gambe aperte.
«Chiudi queste gambe, Lucia!»
Ignorò completamente il mio commento. Si girò a guardarmi: «E tu cosa cerchi in un uomo?»
«Bè…» La domanda mi colse alla sprovvista. Fino ad allora non ci avevo mai pensato. «Voglio che sia amabile, gentile, che mi tratti bene e che mi ami»
«Lo sai che dovrete fare del sesso?»
«Sì, certo. Ma perché dobbiamo parlare di queste cose imbarazzanti? Insomma, imparerò, mi insegnerà lui»
Si voltò verso il cielo. «Agli uomini non piacciono le donne inesperte»
«Davvero? E come lo sai?»
«Lo so»
Rimasi a riflettere per qualche istante. Non volevo che Giovanni mi trovasse indesiderabile. «Tu puoi insegnarmi? Come quella volta?»
Non si mosse. Ovvero, non lo fece per i primi trenta secondi. Sembrava che un’idea gli fosse passata per la testa. Si alzò, si mise in ginocchio davanti a me. Lentamente, come una carezza leggera, passò la sua mano dalla mia caviglia fino alla coscia. «Lasciati andare», sussurrò. «Ecco, lasciati andare». Mi prese una mano e se la poggiò sulla pancia. «Agli uomini piace essere toccati. Sulla pancia, sul petto». Toccai il suo seno e mi sentii avvampare. «Lui ti cingerà la vita e ti porterà vicino a sé, per farti inarcare la schiena. Non ti rimarrà a quel punto…» avevamo i nasi vicini. Tutto dentro di me sembrava muoversi, ma in verità ero immobile, nelle mani di Lucia. Una sensazione strana nello stomaco mi contorceva la pancia. «…che baciarlo, piano, lentamente…» Le sue labbra erano morbide. La sua lingua accarezzava la mia in movimenti dolci ma confusi.
La mia mente si annebbiò, persi quasi conoscenza, e la spinsi sopra di me. I nostri corpi si toccavano, e io la baciavo. E lo adoravo.
«Ehi, ehi”, disse. «Non vorrai mica bruciare le tappe così in fretta? Questo lo devi fare con Giovanni».
Tornai a casa confusa, ma felice.
E pensai che sicuramente con Giovanni sarebbe stato ancora più bello.
Invece non fu così. Ma ci sposammo. Lucia veniva sempre a trovarmi nella mia nuova casa, ogni volta che Giovanni andava a lavorare. Mi parlava di tutte le libertà che aveva ancora e io provavo invidia per tutte le cose che poteva fare. Io non potevo muovermi senza mio marito. Inoltre, se prima Giovanni era dolce e gentile, era diventato sempre più indifferente e assente. Pretendeva ogni notte di fare l’amore. Me ne lamentavo spesso con mia madre, ma anche con Lucia.
«Ma tu digli di no e basta!»
«Mia madre mi dice che devo farlo. Il dovere di una moglie è anche questo».
«Quelli del marito però non esistono».
«Ma no, certo, lui mantiene la casa, mi compra i vestiti…»
Lucia mi fulminò con lo sguardo e decisi di smetterla di parlare. Sapevo cosa pensava dei matrimoni. Mi chiese soltanto: «Ma tu sei felice?»
Abbassai la testa, sconsolata. «Non lo so».
Lei sospirò. Aveva uno sguardo triste. Mi abbracciò forte. «Mi dispiace, amica mia. So che ti aspettavi di più. Se io fossi un uomo, ti farei felice, sai? Faremo l’amore, ti bacerei ogni giorno e ti farei sentire una regina».
Scoppiai a piangere. «Come farei senza di te?»
Già, come avrei fatto senza di lei?
Il destino è crudele.
I giorni, le settimane, i mesi e gli anni passavano e Lucia non si era ancora sposata. Giovanni cominciava ad odiare la presenza di “quella zitella” e la sbeffeggiava davanti ai suoi amici e anche davanti a me.
Un giorno, mentre ero andata a trovare mia madre, sulla strada di ritorno, vidi degli uomini che stavano picchiando una donna. Urlavano e la insultavano. Mi ci volle qualche secondo per capire che quella donna era proprio Lucia.
«Lucia!»
Corsi verso di loro, con il cuore che mi batteva all’impazzata, e mi buttai sopra di lei, abbracciandola. «Siete impazziti? Siete impazziti?” Si fermarono tutti all’improvviso.
«Spostati, è una sporca lesbica quella!»
«Andatevene! E’ una mia amica! Andatevene!»
Subito dopo intervenne un signore, mio conoscente, che abitava poco più il là. Convinse gli uomini ad andare via e ci chiese di entrare nella sua casa.
Lucia venne medicata. Cercai in ogni modo di sapere cos’era successo, perché quelle persone la stavano picchiando e insultando, ma lei rispondeva sempre nello stesso modo: «Niente, niente». Ringraziò il signore e se ne andò, abbracciandomi. Senza dire una parola.
C’erano altre parole che mi bombardavano la testa e che mi risuonarono per giorni: sporca lesbica. La mia mente cominciò a pensare a tutte le volte che eravamo state insieme, a quelle due uniche volte che ci eravamo baciate. Erano stati i baci più belli della mia vita. Me ne rendevo conto solo adesso.
Che fossi una sporca lesbica anche io?
Il giorno dopo, Lucia mi venne a trovare a casa con una valigia in mano.
«Parti?», le chiesi, appena la vidi. Avevo paura di non rivederla più.
Si avvicinò e mi scostò i capelli dietro le orecchie. «Sì, tesoro, parto».
Mi veniva quasi da piangere, ma cercai di trattenermi. «Perché?»
«Non c’è più posto per me qui». Mi abbracciò forte. «Voglio essere me stessa. Qua non posso esserlo».
«Ma… ma… con me sì!»
Sorrise, appena. Era un sorriso che subito dopo portò lacrime. «Sì, certo, con te sì. Ma sei sposata».
«Ma cosa c’entra? Lucia? Io, non voglio che tu parta! Come farò senza di te?»
«Ce la farai. Vedrai. Ce la farai». Mi abbracciò ancora e mi accarezzò la guancia. Poi ci baciammo. Un bacio pieno di addii. Quando i nostri occhi si incrociarono ancora, sussurrò, questa volta singhiozzando: «E’ te che ho sempre voluto sposare».
Rimasi immobile. Lei uscì di casa e si avviò per la strada.
Ecco. Adesso capivo. Tutto. Ripercorrevo la mia storia dall’inizio e solo allora capii. Anche io avrei voluto sposarla. Perché io la amavo. La amavo.
Mi catapultai fuori dalla porta di casa e la vidi lontano, che stava camminando, stava andando via. «Tornerai?», urlai.
Lei si voltò.
«Tornerai?»
Annuì. Mi lanciò un bacio e se ne andò.
Tornerai, Lucia? Tornerai?
Sono passati così tanti anni…
Tornerai?
Lucia.
Tornerai?