Un’installazione fuori degli schemi, in cui si celebra la prematura “dipartita” dello street artist romano e del collettivo Guerrilla Spam, incenerendo le loro opere. È lui a spiegarci il perché in prima persona
Dal 13 gennaio al 20 febbraio la Galleria romana Laszlo Biro subisce una metamorfosi. Non più quattro pareti bianche, immacolate, con appese opere di Street Art da poter ammirare, ma una mostra-installazione, intitolata Camera ardente e cremazione delle opere, dove ogni giorno alle 19.oo in punto si procede ad una cremazione creativa Alcune stampe realizzate dallo street artist Hogre e dal collettivo Guerrilla Spam (riproposte in serie numerate), vengono bruciate fino a quando qualcuno non le sottrae al fuoco, acquistandone una copia.
Uno sguardo inceneritore, che alimenta la fiamma e sottrae alle mani avide del mercato ciò che è donato senza mezzi termini e senza prevaricazioni. Non siamo consumatori ma bramosi osservatori, e la nostra curiosità innestando la scintilla è fatale. Hogre e Guerrila Spam sono i nostri anfitrioni, a banchetto le loro creature. Noi di dailySTORM abbiamo partecipato all’inaugurazione e incontrato gli artisti. Con il piacere di intervistare Hogre.
Partiamo dalle solite domande. Perché il nome Hogre?
Scritto a caratteri cubitali, squadrati, evoca nella mente un personaggio grezzo, mostruoso e stupido, reso ancor più grossolano dall’errore della “H” iniziale, lettera muta e dunque inutile se posta davanti al sostantivo “ogre”. Questo personaggio di fantasia genera un cortocircuito se associato ad un opera minuziosa e dettagliata come uno stencil tagliato a mano. L’idea creativa è spesso l’unione di due elementi normalmente ritenuti inconciliabili: è il contrasto che genera la meraviglia.
Ci sono dei soggetti che ami raffigurare maggiormente?
Cerco di ripetermi il meno possibile, ma qualcosa poi è inevitabile che ritorni: dire una cosa una volta sola è come non averla mai detta.
Nelle tue opere ricorre spesso il tema religioso, cosa pensi del cosiddetto “scontro tra civiltà”?
Il terrorismo non è una religione. Se un manipolo di uomini commettesse una strage all’urlo di “Forza Roma!” questo non farebbe di Totti un papa sanguinario. La cultura islamica è tutt’altro che retrograda, violenta e chiusa come verrebbe da pensare prestando orecchio ai notiziari delle otto. Ho avuto la fortuna di visitare per un mese la repubblica islamica dell’Iran due anni fa, quando ancora c’era l’embargo, Ahmadinejad e la sua “minaccia atomica” che tanto terrorizzava l’occidente. Per un periodo del mio soggiorno ho viaggiato da solo, con indosso una felpa e la scritta “New York 1968” ben visibile sul petto. Paragonando il mio atteggiamento all’accoglienza e all’accettazione del diverso che mi hanno dimostrato le persone che ho incontrato, ero io l’orco troglodita, non solo di nome.
Perchè bruciare le proprie creazioni e che cosa significa?
Il nostro lavoro in strada è effimero, abbiamo cercato di riprodurne il meccanismo nello spazio chiuso della galleria, prendendo in prestito dai greci la metafora che identifica nel fuoco l’ardore creativo, ovvero il fomento. L’intento è quello di dimostrare che non sono gli artisti a dover dipendere dal mercato, ma il contrario. “Camera ardente” è un’installazione camuffata da mostra. Sulle pareti, appese ad un chiodo ogni giorno il fomento brucia energia. Sotto, poggiata in terra, la fonte che alimenta questo processo rischia ogni volta di incendiarsi a sua volta, contagiata dalle ceneri ancora incandescenti che inevitabilmente si posano sopra. La domanda del mercato si contrappone a questo meccanismo sottraendo alimento alla fiamma. I compratori sono parte integrante dell’istallazione, i segni restano sui muri.
Cosa ti ha dato la collaborazione con Guerrilla Spam?
Ho trovato con loro un ottima sinergia. La competizione ha ceduto il passo all’amicizia, così imparavamo reciprocamente. Essendo Guerrilla Spam un collettivo mutevole nel numero dei componenti il loro lavoro non è mai autoreferenziale. Questa è la loro più grande forza, e la più importante delle lezioni che ho imparato da questa collaborazione.
Qual è stata la sfida più eccitante cui ti ha portato la tua arte?
L’uomo che per affrontare un impresa rischiosa si spinge oltre il suo limite potrà sempre far affidamento sulla chimica, ovvero sulla sua naturale capacità di produrre adrenalina. Quindi più che sfidare le forze dell’ordine o restar sospesi a trespoli fatiscenti, la sfida più ardua è l’esercizio quotidiano del guardare. Saper disegnare è saper guardare, riconoscere lo spazio vuoto che delimita una forma: è un esercizio interminabile. Ho iniziato nel 2007 a tagliare stencil di grafiche fatte al computer. Quando poco dopo ho imparato a riconoscere i mezzi toni, sono passato ai fotoritocchi manuali, poi al disegno copiando una foto da tenere a sinistra del foglio, fino ad arrivare al disegno dal vero. Non ho mai frequentato una scuola d’arte, ammesso che ne possa mai esistere una, ma non sarei riuscito ad imparare da solo queste cose senza il coraggio e i consigli che mi hanno trasmesso Jbrock e Zibe.
Cosa pensi della musealizzazione della street art?
La street art non è un vero movimento artistico come lo furono le avanguardie del ‘900 ad esempio. Non esiste un manifesto, tanti tra gli esponenti non sono nemmeno mai entrati in contatto tra di loro. L’unica definizione sensata prevede che sia per strada, quindi se entra in un museo non è più street, ma solo art. Fino a qui tutto bene. La confusione arriva nel momento in cui un creativo che affigge i suoi lavori abusivamente per strada ha come obbiettivo la vendita del suo prodotto, in questo caso non è un artista, ma un pubblicitario che non paga le tasse. Il problema sta nel fatto che è diventato impossibile distinguere il falso dal vero, poiché anche chi mette al primo posto un concetto, o un virtuosismo tecnico, ha fame due volte al giorno.
Se un artista cambia stile, c’è un problema di riconoscibilità?
Quello della riconoscibilità è un problema esclusivamente di mercato, un autore che la rincorre forzatamente degrada la sua arte e riduce la sua persona a un brand.
Come definiresti la tua arte se potessi definirla?
Mi propongo di ottenere un arte dalle interpretazioni molteplici e in grado di toccare più tematiche parallelamente. Ovviamente non potrei aprire le porte a nuove vie interpretative senza l’aiuto di un nuovo tipo di critica. Anziché riportare le nozioni così come gli sono state imboccate, una mente critica dovrebbe esprimere la sua opinione, eseguire il suo ritratto, rubando all’arte per aggiungere anziché sottrarre. In questo modo il critico d’arte diverrebbe artista a sua volta, in grado di far ragionare, aggiungendo punti interrogativi in modo da non chiudere l’interpretazione in una definizione!