Capitolo III – Il viaggio di Rutilio | «Padre caro vi scrivo dall’Aldilà, dall’oltretomba, dal mondo dei morti o da come preferiate definire quella porzione di universo che si dipana dopo l’esistenza terrena e che da tutte le creature è aborrita»
[Tomba del sacerdote e astronomo Nakht di Tebe]
Dopo aver appreso la modalità di accesso al mondo dei morti dalla vecchia eremita, Rutilio si immerse completamente in uno studio disperato. Per settimane rimase chiuso nella biblioteca del palazzo baronale a consultare pile su pile di volumi. Nessuna branca del sapere umano fu trascurata. La sua unica preoccupazione, in quel momento, era giungere nel mondo dei morti disponendo delle conoscenze e delle parole adatte per comprendere e descrivere quell’universo una volta ritornato.
Pallido, sciupato e con le energie completamente prosciugate, Rutilio si trascinava tra il letto e lo studio. Non usciva dal palazzo nemmeno per prendere una boccata d’aria ma stava sempre concentrato a vergare con la penna migliaia di pagine di appunti.
Poi un giorno Rutilio sparì.
Il padre di Rutilio, il vecchio barone, cominciò a cercarlo ovunque. Prima nel palazzo, poi per il villaggio, quindi per le campagne circostanti. Le uniche tracce lasciate da Rutilio erano state quelle del suo cavallo che il ragazzo doveva aver prelevato per partire verso un viaggio piuttosto lungo poiché dalla libreria era sparita l’Odissea di Omero e dalla dispensa mancavano diverse forme di cacio, salumi e pane in grande quantità.
Il barone organizzò diverse ricerche per le campagne alle quali parteciparono tutti gli abitanti di Trino sinceramente preoccupati per le sorti del giovane Rutilio. Dopo qualche giorno qualcuno trovò il cavallo del ragazzo completamente abbandonato a se stesso che sonnecchiava tranquillo lungo il corso di un ruscello a tre giorni di cammino da casa. Di Rutilio nessuna traccia però. Questo ritrovamento contribuì ad aumentare le tribolazioni del barone che inviò degli uomini a chiedere del figlio nei vari paesi che circondavano il villaggio ma niente di tutto ciò servì a ritrovare il ragazzo ormai volatilizzato.
I giorni passarono inesorabili e con essi i mesi.
Il barone quasi smise di sperare di rivedere Rutilio finché, una sera, avvertì un frullio provenire dal portone, il vecchio barone si destò dalla scrivania e corse all’entrata dove, a terra, qualcuno aveva depositato una lettera.
Il barone gettò uno sguardo fuori dal portone ma non scorse anima viva.
Allora raccolse la lettera, si diresse verso il caminetto, aprì la busta e con grande stupore riconobbe la grafia di Rutilio. Dopo aver acceso qualche altra candela e dopo aver rinvigorito il focolare il barone si immerse nella lettura.
Padre Caro,
Nel momento in cui vi scrivo sono passati tre mesi dalla mia segreta e solitaria partenza.
Spero che questo intervallo, durante il quale non avete avuto nessuna notizia di me, non vi abbia troppo angustiato anche se sono consapevole di avervi arrecato molto dolore e per questo vi chiedo perdono.
Ma ho dovuto mantenere in assoluto riserbo il mio progetto per timore che rivelarvelo avrebbe comportato maggiori preoccupazioni. Ho, infatti, deciso di intraprendere un viaggio davvero straordinario e che all’epoca della mia partenza, io stesso, lo avevo immaginato aperto alle più nefaste conseguenze e tribolazioni.
Ma prima di rivelarvi la destinazione scelta, vi raccomando di non preoccupare più la vostra mente circa il mio destino in questo viaggio poiché il foglio che stringete in mano è la dimostrazione più vivida delle mie attuali eccellenti condizioni di salute.
Ma adesso è tempo che io vi descriva il luogo che ho scelto di esplorare nonché il posto dal quale vi ho spedito questa lettera e dal quale mi riprometto di spedirvene altre.
Padre caro vi scrivo dall’Aldilà, dall’oltretomba, dal mondo dei morti o da come preferiate definire quella porzione di universo che si dipana dopo l’esistenza terrena e che da tutte le creature è aborrita.
Il segretissimo progetto che ho architettato negli ultimi mesi è stato proprio quello di intraprendere un così straordinario viaggio per poi ritornare nel nostro mondo alla fine di un ciclo e redigere un verbale con ancora più nutrite informazioni. Prendete queste lettere, dunque, come dei brevissimi resoconti di quello che ho attraversato e di quello che avrò occasione di notare durante la mia permanenza nell’oltretomba e tenete presente che molte cose non potrò rivelarvele se non al ritorno del mio cammino.
Adesso è tempo che io vi descriva l’inizio della mia avventura che comincia, come di certo avete già avuto modo di capire, con la mia morte.
Pochi secondi prima di lasciare la mia esistenza terrena fui travolto da una sensazione di estremo terrore che mi gettò nello sconforto più cupo ed io allora mi pentii amaramente del mio proposito di effettuare questo viaggio e stramaledissi il giorno che mi venne in mente questa idea. Ad un tratto mi ritrovai solo, in un luogo sconosciuto e glaciale, la mia unica compagnia era il libro dell’Odissea di Omero che mi ero preoccupato di portare con me nella tomba poiché so bene che i grandi libri sanno dare grandi risposte se si sa porre loro grandi domande in momenti di grave incertezza.
Ben presto un’ombra mi si fece innanzi ed in pochi millesimi di secondo mi ritrovai avvolto in un nuovo stato d’animo. La fobia gettò in me profonde radici che la serenità attraversò per irradiarsi in tutta la mia persona.
Proiettato in questa estrema sensazione di calma, lentamente ripresi a vedere quello che accadeva intorno a me. Un turbine sordo attraversava le immagini e le frammischiava le une con le altre creando delle vertiginose combinazioni ora spaventose, ora grottesche, ma sempre vibranti di una malsana energia della quale mi sentii travolto. A questo punto, concentrando il mio sguardo sulle figure che mi ronzavano intorno, mi accorsi che queste possedevano il mio medesimo volto.
Improvvisamente una di loro (o forse dovrei meglio scrivere “un altro me”), mi avvolse e prese a trascinarmi lontano da tutti gli altri. Questo mio alter ego urlava, bestemmiava e cacciava dalla bocca un fiume di bava come un cane rabbioso.
«Ti aspettavo da tempo immemorabile», mi disse ed emise una lugubre risata.
Allora io cominciai a dibattermi ma questi non voleva mollarmi e prese a spingermi verso l’orlo di un abisso dal quale scaturiva un profluvio di liquido rosso incandescente simile a lava vulcanica. Più io cercavo di liberarmi da quella stretta e più perdevo l’appoggio dei miei piedi cosicché mi ritrovai catapultato in una condizione di estrema subalternità. Pensai a tutti i sacrifici fatti per raggiungere quel posto, pensai a voi e a tutti gli altri che ho lasciato nel mondo dei vivi e pensai alla persona che avrei tanto desiderato incontrare nel mondo dei morti (e voi sapete meglio di me a chi mi riferisco). Tutti in quel momento mi sembrò perduto. Allora una forza furiosa s’impossessò di me e con una mossa energica afferrai il mio degno avversario, mi liberai della sua presa e lo scagliai nel vuoto arroventato dove egli voleva lanciare me. Quel Rutilio malvagio emise un urlo feroce che si spense nelle profondità di quel torrente infuocato.
In questa maniera riuscii a liberarmi da quella pessima stretta e corsi verso il centro di quell’ambiente oscuro dal quale provenivano diversi altri miei alter ego, e ognuno di loro tentava di afferrarmi e trascinarmi verso un angolo di quell’antro cavernoso. Ero totalmente sopraffatto da una moltitudine di Rutilio.
«Was hast du erwartet zu sein?», mi disse un altro me con gli occhi spiritati.
«Asino», mi urlò un altro, «che ti aspettavi di trovare?»
«Non aver paura», disse un me dal volto serafico, «quelli che vedi non sono altro che il residuo di ciò che avresti potuto essere e non sei stato. Identità morte. Sappi però che per continuare il tuo viaggio devi fare una nuova scelta, scegli bene cosa essere se non vuoi restare intrappolato qui sotto.»
Allora capii che la morte è come una nascita e che dal serbatoio di altri sé possiamo attingere sia alla nascita, sia alla morte, poiché l’una si trova alla fine dell’altra e tutto l’universo è costituito da un pantagruelico progetto ancora in fieri e destinato a non aver mai fine.
Mi dimenai nel bel mezzo di quel turbinio ma non riuscivo a trovare una figura nella quale mi riconoscessi definitivamente. Ciascuno di quei Rutilio si avventava su di me con tremenda decisione e in quel valzer perverso solo uno dei miei alter ego restava immobile e atterrito nel bel mezzo di quel luogo, con l’aria indecisa e intimorita.
Fu allora che mi riconobbi: né troppo malvagio come quel tale che voleva gettarmi nell’abisso, né troppo buono come quell’altro che mi rivelò il funzionamento di quel luogo. Un Rutilio che non sapeva che strada prendere ma che nel centro di quel bivio si arrovellava a considerare la sua situazione e a dedurre le mosse da intraprendere.
Improvvisamente la furia di quel luogo svanì e con essa tutti gli alter ego che lo infestavano, allora a quel punto fui capace di riprendere il mio cammino, solo con me stesso.
Percorsi un cunicolo oscuro che sfociava in un immenso baratro sul quale si stagliava un fragile e stretto ponte di corde. Dall’altro lato del ponte si ergeva un enorme masso in cima al quale stava seduto un uomo con una foltissima barba scura. Stringeva in una mano un bastone e nell’altra teneva un libro che prese a consultare non appena mi vide, senza rivolgermi la parola.
Mi feci coraggio, mossi i miei primi passi sulle corde sfibrate di quel millenario ponte e mentre procedevo osservavo le mie gambe malferme ondeggiare pericolosamente sull’orlo dell’abisso. Le corde del ponte si tesero come se io pesassi dieci volte di più. Alzai lo sguardo e notai che l’uomo aveva preso a scrutarmi sospettosamente con i suoi occhi di brace.
Ancora una volta cercai di raccogliere tutta l’energia e la forza di volontà di cui disponevo e riuscii a compiere un altro minuscolo passo verso la mia meta quando ecco che il mio corpo divenne istantaneamente più leggero e con estrema facilità potei raggiungere l’altro lato del ponte e toccare finalmente terra.
A quel punto mi voltai verso quel misterioso uomo ed immediatamente mi accorsi che egli era divenuto ricolmo di luce e con un gesto perentorio scagliò contro di me un fascio di quel bagliore, quindi, senza nemmeno rendermene conto, volammo in cielo come rondini, sorvolammo le selve, piombammo sul mare immenso, poi ci ritrovammo proiettati nell’etere spaziale, fra bolidi e stelle colossali, passammo oltre le fiamme solari, attraversammo gli anelli di Saturno e ci dirigemmo verso la ciclopica Via Lattea; lui con in mano il suo libro, io col mio.
D’un tratto, come tutto furiosamente comparve, tutto fulmineamente disparì.
Mi ritrovai catapultato in un luogo cavernoso, lo spettro di una bambina mi fece sussultare di terrore. Ella stava immobile, il corpicino adornato da un elegante vestito da pargoletta, con gli occhi aperti a scrutarmi l’anima.
Guardandola da lontano non riuscii a riconoscerla ma dopo pochi secondi la bimba mi rivolse un cenno di saluto.
«Ti ho già visto da qualche parte», mi disse la bimba, «tu sei Rutilio, il figlio del barone».
Finalmente riconobbi quella bambina come la figlia morta di quella sventurata donna di Trino che qualche mese fa ritrovammo in quella caverna sulle montagne.
«Vieni avanti Rutilio», disse, «non aver paura».
Io feci pochi passi e subito fui bloccato dallo sguardo indagatore della creatura.
«Che vieni a fare se poi te ne dovrai andare?», chiese la bimba, «non temi di offendere coloro i quali dovranno invece restare rinchiusi qui per sempre?»
«Non vengo per fare del male a nessuno», risposi impacciatamente.
La bimba stette alcuni interminabili secondi a girarmi intorno, ad osservare me ed il mio libro.
«Cerchi tua madre?», disse la bimba.
«Tu sai dov’è? Puoi portarmici?», chiesi immediatamente.
«Vieni con me», mi rispose, «ti accompagnerò da lei».
Detto questo la bimba mi prese per mano e cominciò a scortarmi verso una corrente nebulosa di figure. Si trattava dei defunti che si muovevano in quel luogo con un flusso regolare e continuo che somigliava a quello delle api nelle arnie. Tuttavia mi accorsi che questo movimento appariva continuo dall’esterno e del tutto naturale all’interno cosicché, con la scorta della bimba, visitai quei luoghi in profondità ed ebbi l’opportunità di conoscere (o riconoscere) tante figure del passato.
Incontrai i vostri genitori ed i genitori dei loro genitori e così via a ritroso fino a perdere il conto con una massa di gente che più si perdeva nel ciclo delle generazioni e più mi riusciva difficile intendere le loro favelle. Così fu, fino a perdere completamente la facoltà di comprendersi quando ebbi di fronte degli antenati così antichi che mi risultarono completamente sconosciuti e stranieri.
Ma ecco che mi avvicinavo a conoscere finalmente mia madre.
Il barone, fino a quel momento, aveva letto ogni frase della lettera di Rutilio con entusiasmo trepidante. Ogni parola era stata accuratamente inghiottita e digerita dal vecchio padre di Rutilio con estremo interesse. Ovviamente il barone aveva posto massima attenzione alle sorti del figlio scomparso, tuttavia mentre leggeva una nuova vivace curiosità si era impadronita di lui, era nata una vigorosa sete di conoscenza per un universo totalmente inesplorato quale quello dell’oltretomba. Ma appena gli occhi scorsero la frase concernente l’incontro di Rutilio con sua madre, l’adorata defunta consorte del barone, un’ombra di tristezza offuscò violentemente la sua lettura.
Il barone dovette emettere un tremendo sospiro prima di riprendere le righe vergate da Rutilio dalle provincie più recondite del mondo dei morti.