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Euro, perché la Bce deve poter comprare titoli di stato

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27 Nov 2014   di Fabio Massimo Piersanti
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Il commento | Mario Draghi ha annunciato l’acquisto di titoli dei paesi dell’eurozona sul mercato secondario. Farlo agli inizi della crisi avrebbe risparmiato tanti sacrifici. Eppure, la governance europea ha impiegato anni a capirlo. E tuttora non è decisa

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Spiegare perché una banca centrale debba poter comprare titoli di stato sui mercati finanziari è una domanda tanto ovvia quanto “scomoda” a cui rispondere, specialmente se a chiederlo è un cittadino dell’eurozona. La politica monetaria è di per se un’arte oscura, molto complessa ed intricata, alla quale fanno da sfondo scenari politici opachi e mutevoli che hanno il potere di modificarne l’efficacia in maniera determinante. Ed è da sempre sottoposta ad aspre critiche, spesso corredate da proposte alternative di intrinseca vacuità perché manchevoli di adeguate considerazioni sullo scenario politico.

Uno scenario politico che in Europa ha disgiunto in maniera oltranzista la politica monetaria e la politica fiscale passando da una fase in cui “la politica monetaria era il bancomat della politica fiscale” all’esatto contrario, attraverso un sentiero lungo e tortuoso di trattati e disquisizioni in sede europea. Se la prima situazione era, ed ancora è, il riflesso di una classe politica che nella migliore delle ipotesi è stata incapace di isolarsi dai conflitti d’interesse e di resistere agli incentivi di breve termine, la seconda si è tradotta in un vero e proprio disastro sociale che ha un nome e un cognone nome e cognome: deflazione e disoccupazione autoindotte. Proprio da qui è utile partire per analizzare una questione. Lo statuto della Banca Centrale Europea, infatti, vieta in maniera assoluta ed esplicita l’acquisto di titoli di stato emessi dagli stati membri da parte della stessa. Sì, ma perché?

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Una risposta logica sensata non esiste e dobbiamo quindi accontentarci di quella politica. In sostanza, l’acquisto di titoli pubblici equivarrebbe ad un vero e proprio aiuto di Stato ai paesi membri da parte della Banca Centrale Europea, cosa esplicitamente vietata dai trattati europei. Ma si sa, alla lunga la logica la spunta sempre, e così circa una settimana fa il presidente Mario Draghi ha pubblicamente annunciato di ricorrere all’acquisto di titoli pubblici sul mercato secondario – ovvero quello delle “vecchie” emissioni di titoli -qualora la zona Euro restasse ancora impantanata nella palude della deflazione.

Ora, sorvolando sulla reale efficacia del Quantitative Easing (acquisto di titoli sul mercato secondario da parte della banca centrale) nel generare inflazione, occorrerebbe fare mente locale e tornare al caldo luglio del 2012 quando Draghi promise di fare tutto il possibile (“whatever it takes”) per la salvaguardia dell’Euro, lanciando le OMT (Outright Monetary Transactions) con le quali la Banca Centrale Europea dichiarava di acquistare i titoli a breve termine (scadenza a tra 1 e 3 anni) dei paesi in difficoltà, con l’obiettivo di allentare le tensioni finanziarie sotto il peso delle quali i paesi della “periferia” dell’eurozona stavano soffocando. Risultato? Basti pensare che da quel giorno nessun titolo di stato è stato effettivamente comprato dalla Bce e soltanto l’annuncio è stato sufficiente a far intraprendere una traiettoria discendente dello spread (differenziale di rendimento) tra i titoli di stato italiani e i Bund tedeschi. Esatto, è bastato l’’annuncio.

Tornando alla domanda, si potrebbe dire che la Banca Centrale deve poter comprare titoli di Stato perché il solo fatto che possa effettivamente comprarli è un efficace deterrente alla speculazione finanziaria ai danni di uno stato. Nessuno speculatore o investitore (in genere l’uno e l’altro sono i medesimi soggetti) si sognerebbe mai di scommettere sul fallimento di uno Stato se c’è una banca centrale (cioè la banca centrale di quel medesimo stato o “unione di stati” come nel nostro caso) che è pronta a comprare quei titoli quando nessuno li vuole. tanto più se quell’Unione di stati rappresenta una fetta cospicua della produzione mondiale. Inoltre, se c’è una Banca Centrale disposta ad acquistare quei titoli che gli operatori finanziari vogliono cedere, il tasso di interesse su di essi non si impennerà finendo con lo scatenare ondate di panico sui mercati finanziari nazionali e non.

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A questo punto gli effetti positivi per le finanze dello Stato sono almeno due. Il primo è che il servizio del debito pubblico diventa meno oneroso (più bassi sono i rendimenti dei titoli di stato e minore è l’ammontare del debito pubblico che ne scaturisce). Il secondo è il più ampio spazio di manovra fiscale di cui può godere il governo, basti pensare che il deficit pubblico (che nel corso del tempo costituisce il debito pubblico) è la differenza tra spesa pubblica e tasse, con l’aggiunta degli interessi sul debito pubblico.

La differenza tra spesa pubblica e tasse è il deficit primario, che con l’aggiunta degli interessi sul debito diventa il deficit vero e proprio. Ciò significa che una riduzione della quota di “interessi sul debito” implica più spesa e/o meno tasse a parità di deficit complessivo.  In Italia da oltre 20 anni registriamo avanzi primari (più tasse che spesa pubblica) ma registriamo comunque dei deficit di bilancio per via degli interessi da pagare. Il nostro non potrebbe essere un paese migliore se le tasse fossero più basse e il governo potesse spendere di più per sanità, istruzione o programmi volti a combattere la disoccupazione? Ecco perché l’acquisto di titoli di stato da parte della Banca Centrale potrebbe fare la differenza. L’importante è che non lo faccia a comando della classe politica, che nel nostro caso non si è mai mostrata all’altezza.

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