Dopo l’esperimento sociale sulle emozioni contagiose, ora l’utente potrà decidere di filtrare il suo News Feed in base ai sentimenti che preferisce. Scopriamo come Zuckerberg e soci guadagneranno da questa ennesima trovata di (emotional) marketing
L’antefatto lo conoscete. Facebook ha di recente condotto in casa propria un esperimento sociale giocando con l’umore degli utenti e testando le reazioni emotive dei suoi iscritti. Risultato (scientificamente notiziabile): al crescere di un mood nei post degli amici, cresce la predisposizione ad assecondare quel mood nella navigazione su Facebook. La negatività genera negatività, la positività genera positività.
Niente di nuovo per gli studiosi tradizionali di psicologia sociale, s’intenda. Ma a destare interesse è la variabile tecnologia dell’esperimento, che per la prima volta ha eseguito su vasta scala un esperimento – rispettando, dunque, gli essenziali criteri di campionamento – e fornito risultati concreti sul comportamento degli utenti.
Il risultato dimostra che questi ultimi riproducono in rete logiche tipiche dell’offline, testimoniando per l’ennesima volta quanto, in realtà, ai tempi di Facebook, non abbia più alcun senso distinguere nettamente tra vita reale e vita virtuale. Semplicemente perché il tasso di pervasività della creazione di Mark Zuckerberg nella vita dell’utente medio si è talmente impennato negli ultimi tempi da far sì che l’intera esperienza sociale delle persone sia traslata in Rete. È l’essenza stessa della comunicazione postmoderna: è superfluo distinguere tra evento e sua rappresentazione, perché legami, contenuti ed eventi esistono solo in quanto socializzati in tempo reale. Posto e geolocalizzo, ergo sum. Per questo, quello che succede offline non è così diverso da quello che succede online.
[PER SAPERNE DI PIÙ: L’esperimento sociale di Facebook sulle emozioni contagiose]
DALL’ESPERIMENTO ALL’ESTENSIONE DI GOOGLE CHROME
La manipolazione dell’umore si è spinta oltre, e si aprono seri spiragli per una riflessione più approfondita sul tema. Google Chrome, grazie alla programmatrice Lauren McCarthy, offre da qualche settimana la possibilità di scaricare gratuitamente un’estensione che abilita il filtro emotivo per il proprio News Feed di Facebook.
I 4 criteri alla base del filtro sono apertura, positività, aggressività ed emotività. Diminuendo o aumentando queste 4 variabili, spariscono o compaiono determinati post pubblicati da pagine e amici. In sostanza si tratta di un’estensione che ripropone esattamente le stesse logiche alla base dell’esperimento di Zuckerberg. Attraverso il software di analisi linguistica sperimentato dal Data Science Team di Facebook – il Linguistic Inquiry Word Count (LIWC) – è possibile analizzare il sentiment dei post (o dei lanci allegati ai link: tipico di quando pubblicate un articolo commentandolo) a partire dal tipo di parole contenute in essi.
La differenza sostanziale è che ad alterare l’EdgeRank – l’algoritmo che decide delle sorti dei post nella vostra Homepage – non sono i padroni di casa bensì gli ospiti. Cioè noi, gli utenti. Un potere non da poco.
[Qui per l’estensione di Chrome: Facebook Mood Manipolator]
OLTRE L’EMOTIONAL ADVERTISING
Chi mastica di Facebook sa bene che tutto quello che avviene sulla piattaforma di Mark Zuckerberg non avviene mai per caso. Dietro ogni azione, innovazione e rivoluzione vi è sempre un motivo economico di fondo. Come sappiamo Facebook guadagna grazie ai suoi modelli di advertising, che non sono innovativi sulla base delle tecnologie che sperimentano (le quali sono sperimentate ugualmente se non meglio anche altrove), ma sono rivoluzionari sulla qualità base della profilazione degli utenti. Un tipo di profilazione che ha un range ampissimo, che va dagli interessi sportivi a quelli lavorativi, dalle relazioni amicali a quelle sentimentali, dagli hobby alle passioni temporanee. I Big Data dell’azienda di Menlo Park, in sostanza. Gli stessi Big Data che ne costituiscono il valore aggiunto rispetto a qualunque altro social network — potendo disporre di un campione di iscritti introvabile altrove, per quantità e qualità — e da cui deriva la gioia degli investitori, felici di targhettizzare in modo sempre più accurato le loro pubblicità. Morte agli spot one-to-many tipici della Tv, lunga vita all’advertising tarato su misura dell’utente. Una pubblicità per ogni persona, questo il sogno degli advertiser.
Ma questo è già il passato. La nuova frontiera qual è? Quella tracciata dall’esperimento sociale del Data Science Team di Facebook: la variabile passiva dell’emotional advertising, molto più subliminale. L’emotional advertising è quel tipo di pubblicità che, detta in soldoni, cerca di suscitare una reazione emotiva nel consumatore, tendenzialmente positiva, per fare in modo che quest’ultimo colleghi quel sentimento positivo al brand stesso. Un modo per bypassare la ragione delle persone e ottenere la cosiddetta scorciatoia cognitiva che, come in politica, così nel marketing, serve a creare un legame inconscio tra promotore del messaggio positivo e suo ricevente. Per chi subisce questo tipo di influenza, il legame è impercettibile. Per chi la produce, il ritorno economico è enorme e fa la differenza tra chi cade nell’oblio del commercio e chi resta impresso nei cuori delle persone.
Fondamentalmente è l’idea alla base della Apple, che riesce a vendere i suoi prodotti massificanti al grido di «Think different», che è probabilmente il claim più ossimorico che sia mai stato partorito. «Pensa differente, ma compra come tutti gli altri». Questo è giocare con l’inconscio e creare un legame emotivo con il brand, sospendendo la razionalità del consumatore. Si tratta di far comprare, non di far pensare.
Perché parliamo di variabile passiva dell’emotional advertising? Perché il tipo di pubblicità che si profila per il futuro di Facebook non sarà il classico spot pieno di sorrisi, gioia e gattini che cerca di mettere di buon umore il consumatore. No, in questo caso il processo è inverso. Visto che Facebook è tecnologicamente in grado di valutare l’umore degli utenti a partire dai loro post, può tarare le pubblicità a seconda del mood dominante. Un certo tipo di advertising per gli utenti infuriati, un certo tipo di advertising per gli utenti tristi, un altro tipo ancora di advertising per gli utenti felici. Si tratta di toccare le più profonde corde dell’animo umano, andando ad offrire contenuti in linea coi nostri umori. Per questo, economicamente perfetti.