Recensione | Tra brani rarefatti e musica apparentemente cervellotica, ci viene dato un disco spontaneo, lontano da qualsiasi deriva concettuale. Romantico, quasi
Duecento copie realizzate a mano, ognuna numerata. Così Kein ha deciso di inaugurare in BLOOM, il suo primo full lenght prodotto dall’inglese Audiobulb Records. L’esperienza alle spalle, tuttavia, non manca: due EP pubblicati, Suburban Turntablism (2007) e Fondle (2009), oltre a svariate collaborazioni come sonorizzatore di videoartisti e come bassista in gruppi indie rock, punk, garage e chi più ne ha più ne metta. in Bloom riassume sostanzialmente tutte le esperienze passate di quest’italianissimo sound artist. Più soffuso nelle scelte melodiche, ma comunque elettronico nella sua matrice, le sette tracce del disco oscillano silenziosamente tra l’ambient e l’IDM (Intelligent Dance Music), movimento electro ormai conosciuto a livello internazionale più o meno consciamente grazie a uno dei suoi padri fondatori, tale Richard David James (per gli amici Aphex Twin). Come recita il nome, l’Intelligent Dance Music, chiamata anche Braindance, non si dedica soltanto al coinvolgimento fisico, ma -soprattutto- a quello cerebrale, connettendo direttamente i nervi e le sensazioni a una data atmosfera. Per i maligni, questa musica viene catalogata come sciocco e ripetitivo sottofondo a qualche pretenziosa installazione dinamica in musei d’arte ultracontemporanea che in tanti visitano ma solo dall’esterno. Per i più benevoli e accorti, è spesso un ottimo accompagnamento riflessivo.
in BLOOM, come tutte le altre opere affini al genere, nella sua immediatezza richiede concentrazione d’ascolto necessaria e sufficiente a dare una forma al percorso sonoro, a rendere i colori di quel che si ascolta più nitidi. Come ha dichiarato l’artista stesso, «più che un vero e proprio album, lo si può considerare una raccolta di stati d’animo, di esperienze di viaggi e di vita vissuta». Sette momenti cristallizzati in un lasso di tempo relativamente breve, osservati dalle nostre orecchie attraverso un vetro traslucido fatto di suoni opachi e spesso indefiniti. Come Untitled, l’apertura del disco, nominata così apposta perché offre una libera interpretazione degli snodi melodici. Un brano composto nello scompartimento di un treno, con fuori dal finestrino nulla di determinato o che tu possa prevedere di ritrovarti sotto al naso. Interessante il confronto, verso la fine dell’LP, tra Londra e Berlino con la coppia Brixton Rd. vs Ostalgie, dove al chiacchiericcio e alle atmosfere fredde della prima si contrappone una maggiore dinamicità della seconda, pervasa comunque da una malinconia di fondo alla ricerca di colori caldi. Look after me esprime il suo bisogno di sicurezza attraverso un equilibrio formale, dove si bilanciano armonicamente il ritmo, la melodia e le distrazioni di qualche glitch un po’ sghembo ma mai troppo calcato. Mentre In Bloom inquadra, come da titolo, il disgelo e l’inizio di una rinascita in timelapse, il grigio che lascia gradualmente spazio al colore. La chiusura è affidata a Sugar e Isländische, che uno dopo l’altro squarciano il finale prima con ritmi regolari e a tratti ossessivi, infine sempre più affastellati e sporcati da intrusioni rumoristiche.
È proprio dai rumori che scaturisce il binomio musica/noise dell’opera. Dove i sintetizzatori e le drum machine costruiscono un tappeto sintetico di frequenze, la coloritura dei glitch è affidata a un fido microfono che di soppiatto ha registrato piogge battenti, legni che sfregano, viti di metallo che cadono, per poi incanalare tutto nel computer, editando, tagliando e rielaborando il tutto senza uno schema preciso. Come d’altronde lo è tutto il disco. Le tracce non seguono un’organizzazione premeditata, sono davvero una collezione di momenti donati al pubblico in un palmo di mano, come una bellissima conchiglia raccolta sulla spiaggia e porta d’istinto a chi ti è vicino. E nonostante la presunta cerebralità dei generi musicali presenti nel disco, la spontaneità che ne fa da contraltare lo fa brillare ancora meglio.