• Home
  • Economia
  • Società
  • Mondo
  • Arte
  • Architettura
  • Spettacolo
  • Produzioni

Kein, in BLOOM. Anima autentica su un tappeto sintetico

0 Comment
25 Lug 2014   di Stefano De Romanis
Tweet

Recensione | Tra brani rarefatti e musica apparentemente cervellotica, ci viene dato un disco spontaneo, lontano da qualsiasi deriva concettuale. Romantico, quasi

kein in bloom01

Duecento copie realizzate a mano, ognuna numerata. Così Kein ha deciso di inaugurare in BLOOM, il suo primo full lenght prodotto dall’inglese Audiobulb Records. L’esperienza alle spalle, tuttavia, non manca: due EP pubblicati, Suburban Turntablism (2007) e Fondle (2009), oltre a svariate collaborazioni come sonorizzatore di videoartisti e come bassista in gruppi indie rock, punk, garage e chi più ne ha più ne metta. in Bloom riassume sostanzialmente tutte le esperienze passate di quest’italianissimo sound artist. Più soffuso nelle scelte melodiche, ma comunque elettronico nella sua matrice, le sette tracce del disco oscillano silenziosamente tra l’ambient e l’IDM (Intelligent Dance Music), movimento electro ormai conosciuto a livello internazionale più o meno consciamente grazie a uno dei suoi padri fondatori, tale Richard David James (per gli amici Aphex Twin). Come recita il nome, l’Intelligent Dance Music, chiamata anche Braindance, non si dedica soltanto al coinvolgimento fisico, ma -soprattutto- a quello cerebrale, connettendo direttamente i nervi e le sensazioni  a una data atmosfera. Per i maligni, questa musica viene catalogata come sciocco e ripetitivo sottofondo a qualche pretenziosa installazione dinamica in musei d’arte ultracontemporanea che in tanti visitano ma solo dall’esterno. Per i più benevoli e accorti, è spesso un ottimo accompagnamento riflessivo.

kein in bloom02

in BLOOM, come tutte le altre opere affini al genere, nella sua immediatezza richiede concentrazione d’ascolto necessaria e sufficiente a dare una forma al percorso sonoro, a rendere i colori di quel che si ascolta più nitidi. Come ha dichiarato l’artista stesso, «più che un vero e proprio album, lo si può considerare una raccolta di stati d’animo, di esperienze di viaggi e di vita vissuta». Sette momenti cristallizzati in un lasso di tempo relativamente breve, osservati dalle nostre orecchie attraverso un vetro traslucido fatto di suoni opachi e spesso indefiniti. Come Untitled, l’apertura del disco, nominata così apposta perché offre una libera interpretazione degli snodi melodici. Un brano composto nello scompartimento di un treno, con fuori dal finestrino nulla di determinato o che tu possa prevedere di ritrovarti sotto al naso. Interessante il confronto, verso la fine dell’LP, tra Londra e Berlino con la coppia Brixton Rd. vs Ostalgie, dove al chiacchiericcio e alle atmosfere fredde della prima si contrappone una maggiore dinamicità della seconda, pervasa comunque da una malinconia di fondo alla ricerca di colori caldi. Look after me esprime il suo bisogno di sicurezza attraverso un equilibrio formale, dove si bilanciano armonicamente il ritmo, la melodia e le distrazioni di qualche glitch un po’ sghembo ma mai troppo calcato. Mentre In Bloom inquadra, come da titolo, il disgelo e l’inizio di una rinascita in timelapse, il grigio che lascia gradualmente spazio al colore. La chiusura è affidata a Sugar e Isländische, che uno dopo l’altro squarciano il finale prima con ritmi regolari e a tratti ossessivi, infine sempre più affastellati e sporcati da intrusioni rumoristiche.

È proprio dai rumori che scaturisce il binomio musica/noise dell’opera. Dove i sintetizzatori e le drum machine costruiscono un tappeto sintetico di frequenze, la coloritura dei glitch è affidata a un fido microfono che di soppiatto ha registrato piogge battenti, legni che sfregano, viti  di metallo che cadono, per poi incanalare tutto nel computer, editando, tagliando e rielaborando il tutto senza uno schema preciso. Come d’altronde lo è tutto il disco. Le tracce non seguono un’organizzazione premeditata, sono davvero una collezione di momenti donati al pubblico in un palmo di mano, come una bellissima conchiglia raccolta sulla spiaggia e porta d’istinto a chi ti è vicino. E nonostante la presunta cerebralità dei generi musicali presenti nel disco, la spontaneità che ne fa da contraltare lo fa brillare ancora meglio.

Articoli Correlati

  • Godblesscomputers, nuovo disco per un nuovo equilibrio
  • Crayon Made Army, un esordio che mira al Nord Europa
  • “Il Disco”, primo album degli italianissimi Bluklein
  • Un album senza titolo contro le routine, esordio a crudo per i Vostok
  • Terzo album per i Gentlemen’s Agreement, in fuga dal grigiore della metropoli
  • Majakovich, “Il Primo Disco Era Meglio”. Se lo dicono loro…

Commenti

commenti

Tweet
di Stefano De Romanis
Laureato in Lingue e Civiltà Orientali, di fronte a un evanescente mondo del lavoro ho preferito procrastinare il tuffo dandomi alla psicologia. Ma vista la mia repulsione a concentrarmi su un singolo obiettivo, ho deciso di buttarmi anche nel giornalismo culturale dopo anni passati ad ascoltare (e suonare) musica e a montare scenografie nei teatri.


Articoli correlati


Godblesscomputers, nuovo disco per un nuovo equilibrio
Giugno 12, 2015

Crayon Made Army, un esordio che mira al Nord Europa
Aprile 3, 2015


  • facebooklink twitter youtubelink google+ youtubelink

  • Recent Posts

    • All'Ex Dogana si celebra l'EX VOTO degli artisti residenti
      Aprile 11, 2018
    • Nocturnal Emissions, l'arte tra carta e "pelle"
      Novembre 9, 2017
    • Il MLAC riparte con una mostra per "Contestare l’ovvio"
      Ottobre 25, 2017
    • DOUBLE|U, l'arte di ADR per la "sopravvivenza dell'antico"
      Ottobre 12, 2017
    • La seduzione della memoria nelle opere di Karlos Pérez
      Ottobre 7, 2017
  • No(w) Regrets

    No(w) Regrets
  • i più letti

    • L'inno della Serie A e Allevi, che tra i litiganti...
      Agosto 2, 2015
    • Perché Tsipras non è un traditore, un commento a freddo
      Luglio 23, 2015
    • San Basilio, l'arte urbana contro il degrado delle...
      Giugno 18, 2015
    • Perché i campi rom esistono e oggi sono un problema
      Maggio 14, 2015
    • «E io alla street art gli do fuoco», intervista a Hogre
      Gennaio 28, 2015
    • Guida ai cinema d'essai (ancora aperti) di Roma
      Gennaio 10, 2015
    • Unar conferma, gli stranieri delinquono meno degli...
      Novembre 6, 2014
    • Immigrazione, cosa cambia da Mare Nostrum a Triton
      Novembre 1, 2014
    • L’opera di Hassan Fathy, architettura partecipata...
      Settembre 1, 2014
    • L'esperimento di Facebook. Ecco cosa accade se metti...
      Agosto 14, 2014

  • Find us on Facebook

  • Produzioni

    • Dentro la Giungla di Calais | di Federico Annibale...
      Marzo 29, 2016
    • Dentro la Giungla di Calais |di Federico Annibale (parte...
      Marzo 8, 2016
    • "La mappa di Parigi" | di Fulvio Cozza
      Novembre 16, 2015
    • "Stavo scappando" | di Ilaria Nassa
      Novembre 7, 2015
    • "Jack" | di Alessandro Senzameno
      Novembre 1, 2015

  • lab2.0 Magazine


  • © dailystorm.it | Dev IMSEO

    Testata giornalistica iscritta al Registro della Stampa del Tribunale di Roma, autorizzazione n. 12 del 15 Gennaio 2013.

    ISSN 2421-1168

  • AdSense

  • Per collaborare con dailySTORM, segnalare iniziative, proporre inserzioni e acquistare spazi pubblicitari, scrivici a:

    redazione@dailystorm.it

  • Pagine

    • Chi siamo
    • Contatti
    • Redazione
    • Condizioni di utilizzo
    • Privacy
    • Informativa sui cookie

Questo sito o gli strumenti terzi da questo utilizzati si avvalgono di cookie necessari al funzionamento ed utili alle finalità illustrate nella cookie policy. Se vuoi saperne di più o negare il consenso a tutti o ad alcuni cookie, consulta la cookie policy. Chiudendo questo banner, scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all’uso dei cookie.OkInfo