In caso di grandi competizioni internazionali, il rapporto tra Islam e sport concede spesso strappi alla regola. Una breve rassegna, dal velo speciale per le atlete saudite alla nazionale algerina ai Mondiali brasiliani
Tra sabato 28 e domenica 29 è iniziato ufficialmente il Ramadan, il mese sacro dei musulmani nonché uno dei Cinque Pilastri dell’Islam. Gli osservanti dovranno praticare il digiuno e astenersi dal bere durante il giorno, oltre a rinunciare a tutte quelle attività che possono disturbare la preghiera come il sesso, il fumo e lo sport. Quest’ultimo divieto, per gli sportivi, deve spesso scontrarsi con il sopraggiungere di grandi manifestazioni— Mondiali di calcio e Olimpiadi in primis — contemporaneamente alla ricorrenza religiosa, che cade il nono mese dell’anno lunare e dunque può ricorrere anche nella stagione estiva. Occasioni in cui gareggiano anche molti atleti di fede musulmana, cosa che ha comportato spesso la necessità di trovare un compromesso tra l’appartenenza religiosa e la regolamentazione sportiva. Innescando, a volte, tutta una serie di “strappi alla regola” che hanno coinvolto sia le istituzioni religiose che quelle sportive, generando non poche polemiche ma al tempo stesso interessanti adattamenti.
LA NAZIONALE ALGERINA IN BRASILE – Tutti i musulmani concordano sul fatto che il digiuno nel mese di Ramadan è obbligatorio. In alcune circostanze, tuttavia, si può essere esentati da quest’obbligo. È il caso non solo delle persone anziane, dei minorenni e delle donne in stato di gravidanza, ma anche dei credenti che si trovano in viaggio durante il mese sacro. Secondo Muhammad Sharif Qaher, esponente del Supremo consiglio islamico dell’Algeria, questo impedimento varrebbe anche per i calciatori della nazionale algerina, che si sono qualificati agli ottavi di finale dell’attuale Coppa del Mondo e sono poi stati eliminati ieri sera dalla Germania.
Prima dell’ultima partita, Qaher ha stabilito attraverso una fatwā che i giocatori avrebbero potuto evitare il Ramadan proprio perché in viaggio, scatenando non poche polemiche nel suo Paese. Anche alcuni calciatori di fede islamica della nazionale svizzera hanno seguito il consiglio, sostenendo di essere credenti ma di voler pensare in questo momento esclusivamente al loro lavoro. Al centro del dibattito non ci sono solo questioni religiose o squisitamente ideologiche: parte dell’opinione pubblica temeva infatti che il digiuno potesse avere ripercussioni negative sulle condizioni fisiche dei giocatori, ponendoli in una condizione svantaggiosa rispetto alle altre squadre.
OLIMPIADI E VELO – I Giochi Olimpici di Londra del 2012 hanno visto per la prima volta la partecipazione di atlete per l’Arabia Saudita, il Qatar e il Brunei. Una rottura degli schemi che molti hanno accolto con favore, soprattutto perché proveniente da Paesi che fino ad allora avevano impedito alle donne di partecipare a simili iniziative. Il tutto, però, è stato concesso ad una sola condizione: quella di indossare vestiti appropriati secondo i dettami della sharī’a e ricevere il permesso del loro guardiano maschio (solitamente il padre o il marito) presente durante la gara. O almeno questo è ciò che dichiarò per l’occasione il principe saudita Nawaf bin Faisal.
Il problema si è posto con il caso concreto della judoka Wodjan Shaherkani, alla quale la Federazione Internazionale di Judo (Ljf) aveva chiesto di gareggiare a capo scoperto causando il disappunto della delegazione saudita, pronta a ritirare l’atleta dalle competizioni. Alla fine, Ljf e Comitato Olimpico hanno trovato un accordo e la Shaherkani ha indossato un hijab speciale — prodotto in Olanda e riconosciuto anche dalla Fifa — che si chiude con un velcro e permette quindi una rapida apertura nel caso in cui venga tirato. Il motivo per cui la Federazione era inizialmente contraria, infatti, era quello della pericolosità del velo, dal momento che questo prevede la copertura anche di collo e spalle e nel corso della gara la Shakerkani avrebbe potuto compiere delle mosse rischiose per la sua stessa salute.
ISLAM E SPORT: HALAL O HARAM? – Questi singoli esempi ci portano però ad una domanda più generale: lo sport, nella religione islamica, è permesso o vietato? Non facendo capo a nessuna istituzione centrale (come nel caso della Chiesa cattolica), non esiste un’interpretazione univoca, né in questo caso né in molti altri. Per Maometto, infatti, la disparità di giudizi (ikhtilāf) era «una benedizione per la Umma (comunità) islamica». Tuttavia, secondo il libro Islam e sport del religioso Mufti Ahmed Ebrahim Bemat, esistono dei comportamenti permessi e altri sconsigliati, e lo sport rientra nel primo caso solo a condizione di tenere un comportamento religioso. È consigliabile inoltre praticare le discipline suggerite dal Profeta nelle hadīth — gli aneddoti costitutivi della Sunna, la seconda fonte della Legge islamica dopo il Corano —, e queste corrispondono al tiro con l’arco, al nuoto, alla corsa e alla lotta. Vi sono però anche dei comportamenti legati allo sport e malvisti da gran parte della comunità islamica, come il mostrare il corpo in maniera eccessiva, l’essere fotografate o riprese in televisione, il gareggiare in presenza di soli uomini e il tifo scalmanato, vera e propria “malattia occidentale” che secondo i più integralisti andrebbe evitata.
Sono proprio questi comportamenti proibiti a suscitare più conflitti in occasione di eventi sportivi internazionali. È il caso dell’atleta algerina Hassiba Boulmerka, minacciata spesso da alcuni gruppi estremisti per correre in canottiera e pantaloncini e costretta a trasferirsi in Europa tra la fine degli anni ’80 e l’inizio dei ’90; ma è anche il caso della nuotatrice egiziana Heba Abd El Gawad, che secondo l’autore del libro aveva l’abitudine di “esorcizzare” il costume da bagno leggendo alcuni versi del Corano prima delle gare alle penultime Olimpiadi di Atene. Le pratiche religiose, in quanto pratiche, sono flessibili e soggette alla creatività dei fedeli più di quanto possiamo immaginare, e l’Islam non rappresenta certo un’eccezione in questo. L’esempio dello sport dimostra come il loro adattamento alle diverse situazioni, alle condizioni materiali e al presente storico rappresenti più una costante che un evento eccezionale, anche se tutto ciò può portare a divergenze d’opinioni o a casi particolarmente eclatanti.