In migliaia, studenti in testa, protestano contro il libero scambio con la Cina, da cui Taiwan potrebbe rimanere dipendente. Ma c’è chi non la pensa così
A partire dal 18 Marzo, migliaia di studenti di Taiwan, che si definiscono “Movimento Studentesco del Girasole”, hanno occupato il Parlamento per protestare contro la ratifica dell’Accordo di integrazione economica Cina-Taiwan (Cross-Strait Service Trade Agreement). Che prevede l’apertura di 80 settori di servizi dell’economia cinese alle imprese di Taiwan e di 64 settori di servizi di Taiwan ad imprese cinesi, tra cui commercio, telecomunicazioni, sanità, finanza e trasporti. La protesta è ancora in corso ed è degenerata in violenti scontri il 24 marzo, quando un migliaio di poliziotti hanno disperso i manifestanti raccolti nel parlamento usando idranti e lacrimogeni. Secondo i bilanci ufficiali, almeno 32 persone sono state fermate per essere interrogate e almeno 120 sono rimaste ferite.
Le ragioni di questa manifestazione sono politiche, visto che l’accordo economico è interpretato da molti come un passo verso una riunificazione politica di Taiwan alla Cina continentale, un’opzione per niente gradita alla popolazione dell’isola, il cui governo rivendica la sovranità su tutta la Cina, da quando Mao fondò la Repubblica Popolare e il Partito Nazionalista Cinese fuggì a Taiwan dove è tutt’ora al potere. Male preoccupazioni maggiori dei manifestanti si pongono su un piano prettamente economico. Il pericolo è che gli imprenditori cinesi rendano Taiwan più vulnerabile e dipendente da Pechino. Secondo gli studenti che protestano, inoltre, l’accordo sarà un rischio per le loro prospettive lavorative. Queste apprensioni si collocano nel dibattito sempre più vivace riguardo allo sviluppo economico dell’Asia Orientale e all’impatto della crescente integrazione regionale dell’area e dei suoi potenziali effetti.
Taiwan, insieme a Singapore, a Hong Kong e alla Corea del Sud, è una delle “Quattro Tigri Asiatiche” (o NIEs), ovvero i primi paesi dell’Estremo Oriente che, dopo il Giappone, hanno vissuto un’eccezionale crescita economica e una rapida industrializzazione, tra i primi anni Sessanta e gli anni Novanta. Dopo il boom economico delle “Tigri”, una seconda e una terza generazione di paesi asiatici, che comprendono la maggior parte degli ASEAN e ovviamente la Cina, hanno vissuto una rapida e consistente crescita economica, tanto da far parlare di “Miracolo Asiatico” della prima metà degli anni Novanta.
Il differente livello di sviluppo economico dell’Asia Orientale, dovuto alle diverse fasi di crescita dei vari paesi negli ultimi decenni, ha dato vita ad un modello di sviluppo industriale che viene definito come il “modello delle oche volanti” e che prevede che un paese “leader” più sviluppato diffonda la propria conoscenza ai paesi “follower” meno sviluppati per diventarne, successivamente, mercato per l’export. Secondo questa teoria, i paesi “leader” – che ricollocano i settori ad alta intensità di lavoro nei paesi “follower” e si specializzano in nuovi prodotti – sono destinati ad essere superati da questi ultimi, come è in effetti accaduto e come dimostra in maniera eclatante il caso della Cina rispetto al Giappone e alle “Tigri Asiatiche”, che hanno peraltro affrontato una seria crisi economica alla fine degli anni Novanta. Per quanto l’economia cinese abbia raggiunto un considerevole livello di sviluppo, secondo chi protesta a Taiwan la disponibilità di forza lavoro cinese a prezzi estremamente competitivi potrebbe far “volare” le imprese taiwanesi verso il continente e dunque mettere a rischio l’autonomia dell’economia locale diminuendo le opportunità lavorative per i cittadini dell’isola.
In conclusione, secondo alcuni punti di vista (tra cui sicuramente quelli di coloro che sono a favore dell’accordo di libero scambio tra Cina e Taiwan) una Cina economicamente sempre più forte è “innocua” e da considerarsi come un’opportunità per espandere le economie regionali dell’Asia Orientale attraverso la cooperazione e accordi nel pieno stile neoliberista che sta dominando l’economia globale. Secondo opinioni meno fiduciose riguardo all’integrazione economica asiatica, invece, la continua crescita cinese è una minaccia per altri paesi asiatici specializzati negli stessi settori economici, visto che le risorse umane e le dimensioni economiche del paese lo rendono un competitore troppo pericoloso. Le proteste a Taiwan rappresentano la seconda “scuola di pensiero” e per di più sono aggravate dalle divergenze politiche che storicamente hanno separato i due paesi.