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“Rivoluzione Islanda”: dopo la crisi, si riparte dalla cultura

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26 Mar 2013   di Eleonora Cosmelli
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Dalla fine della crisi del 2008, il Paese ha investito sempre più nella cultura, in particolare cinema e musica. La rivoluzione in Islanda continua.

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islanda-12UN MONDO DIVERSO – Sicuramente c’è almeno un modo alternativo di affrontare una crisi economica. E il modello Islanda, che ormai fa scuola, ne è un esempio lampante. Anche stavolta, questa isola grande quanto il Portogallo sembra in grado di stupire noi “continentali” che, per risolvere i problemi, riusciamo solo a riscaldare la solita minestra, usando sempre le vecchie ricette. In cosa investe l’Islanda che ha detto no alla schiavitù dalle banche? Ovviamente nella cultura, a partire dal cinema e dalla musica.

Dopo aver dimostrato che si può vivere senza dipendere dal mercato internazionale e che i cittadini possono scrivere e votare attraverso un referendum una nuova costituzione, l’Islanda ci dimostra che sì, con la cultura si mangia. Il settore creativo, in questo Paese, ha un’importanza che supera di due volte quella dell’agricoltura, e quasi si avvicina ai livelli della prima attività economica dell’isola, la pesca. Non male per un Paese che nel 2008 aveva raggiunto la bancarotta, diventando uno dei simboli più potenti della crisi finanziaria mondiale.

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concert_hall_island_620x311RIVOLUZIONE ISLANDA – Il simbolo del valore che l’Islanda ha dato alla cultura è la sala da concerti Harpa, la cui costruzione è stata rilanciata di recente, dopo essere stata interrotta per mancanza di fondi, come succede spesso da noi. Il ministro della cultura Katrin Jokobsdottir ha incoraggiato particolarmente i progetti culturali indipendenti, a cui non sono mai più mancati i fondi, nonostante i vari aggiustamenti di bilancio che il Paese ha dovuto affrontare dopo la sua “rivoluzione pacifica” ai tempi della crisi.

Oggi è proprio la cultura – la musica in particolare – ad attirare in Islanda il 70% dei turisti più giovani, mentre più dell’80% dei ragazzi islandesi conosce almeno il solfeggio e si dedica allo studio di uno strumento. Risultato? Solo l’anno scorso si sono esibite all’estero ben 43 band islandesi: non male per un Paese ai margini dell’Europa. Nel frattempo, è stata anche approvata una legge che assicura il rimborso dei costi di produzione dei film girati in Islanda. La cultura è per forza una spesa destinata esclusivamente a gravare sullo Stato? L’Islanda dimostra che si tratta piuttosto di un elemento fondamentale per sviluppare anche l’economia stessa.

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images (10)DIETROFRONT IMPOSSIBILE – L’Islanda è riuscita a investire di più nella cultura che nell’industria di alluminio, produttiva ma anche decisamente inquinante. Un altro punto a favore di questa nuova concezione dell’economia. Eppure, qualcosa dev’essere andato storto. Fa riflettere, infatti, che il partito conservatore sia in vantaggio nei sondaggi per le elezioni del prossimo 27 aprile. Quel partito conservatore che ha portato il Paese alla bancarotta nel 2008 e che aveva proposto di socializzare il debito delle banche, facendone pagare una piccola parte a tutti i cittadini.

Sembra che anche gli islandesi soffrano di perdita di memoria a breve termine. A sentire gli artisti, quelli che sono stati supportati dal governo dalla fine della crisi a questa parte, è difficile trovare una spiegazione per questo “cambio di rotta” che sembra investire l’opinione pubblica. Indubbiamente non possiamo prevedere con sicurezza i risultati delle elezioni prima ancora che si tengano. D’altra parte, arrivati a questo punto, probabilmente perfino un governo conservatore non potrebbe tornare indietro al vecchio sistema, chiudendo ogni porta al cambiamento, e sarebbe costretto a recepire certe istanze. Questa rivoluzione sembra aver davvero messo le radici in Islanda? Lo sapremo a breve.

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Eleonora Cosmelli
@EleonoraCosmell

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di Eleonora Cosmelli
Sono nata nel 1994, quindi incarno a malincuore il cosiddetto "ventennio berlusconiano". Studio Politics, Philosophy and Economics (secondo anno) e sono volontaria per Jandira Onlus. Esterofila di professione, scrivo di Ex Unione Sovietica e Sud America. Per il resto, spero di non finire a incarnare il "trentennio berlusconiano".


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