La sentenza del tribunale dell’EFTA è chiara: l’Islanda non deve pagare i debiti delle banche con cittadini Inglesi e Olandesi dopo il crack del 2009.
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La controversia nasce nel 2009 quando l’Islanda, dopo il crack del suo sistema finanziario, si era rifiutata di restituire i soldi ai 350mila clienti inglesi e olandesi della Icesave, il conto online della banca Landesbanki che aveva attratto 4,5 miliardi di euro di depositi da 350mila clienti stranieri grazie ai tassi d’interessi molto (troppo) alti.
Le autorità bancarie inglesi e olandesi, dopo un primo braccio di ferro con l’Islanda, avevano deciso di rimborsare al 100% i loro concittadini che avevano, evidentemente, perso altrimenti i risparmi, riservandosi di rivalersi in sede legale con Reykjavik.
IL RICORSO ALL’EFTA – A investire il Tribunale dell’Efta (Associazione Europea del Libero Commercio, alla quale aderiscono oltre ad alcuni paesi dell’UE anche Islanda, Liechtenstein e Norvegia) del caso era stato un ricorso dell’Autorità di Vigilanza degli Accordi Efta contro il rifiuto dell’Islanda di pagare 3,9 miliardi di euro alla Gran Bretagna e all’Olanda. Come detto i governi di Londra e l’Aja avevano scelto di coprire le perdite dei propri cittadini, e successivamente avevano chiesto un indennizzo alle autorità di Reykjavik, richiesta impugnata dall’Islanda. Oltretutto l’Islanda, grazie al recupero della sua economia e al riassetto del suo sistema creditizio, ha nel frattempo provveduto a rimborsare la cifra minima (20mila euro a testa) prevista dagli accordi Ue.
LA SENTENZA – (clicca qui per leggere il testo della sentenza) Il Tribunale, con sede a Lussemburgo, ha stabilito il 28 Gennaio 2013 che il governo dell’Islanda non ha violato la legislazione europea quando ha deciso di non risarcire gli investitori straneri della banca on-line Icesave, dipendente da una delle principali entità finanziarie fallite nel 2008.
Nella sentenza, infatti, l’Efta spiega come l’Islanda non abbia contravvenuto le normative europee vigenti al momento dei fatti quando decise di non risarcire gli azionisti stranieri. Decisione tra l’altro avallata da un referendum appositamente convocato, attraverso il quale la maggioranza dei cittadini del paese valutarono di non investire denaro pubblico per ripianare i debiti con le banche private fallite. Altro passaggio decisivo della sentenza è che il Tribunale ha stabilito come il governo islandese non abbia compiuto un atto discriminatorio decidendo invece di risarcire gli azionisti del Paese.
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NOI IL DEBITO NON LO PAGHIAMO – Ovviamente, questo è un bel sospiro di sollievo per l’Islanda, risanata dal crac da 80 miliardi di euro (otto volte il suo pil) delle sue banche. Infatti il governo di Reykiavik si è detto molto soddisfatto per la decisione del tribunale dell’organismo internazionale che ha dato ragione all’Islanda. Al contrario, vari governi europei secondo i quali c’è bisogno di una normativa più stringente per i casi simili a quelli dell’economia islandese del 2008-2009. Dura, invece, la Commissione Europea, secondo la quale “i rimborsi dei depositi bancari devono sempre essere garantiti, anche nel caso di una crisi sistemica”.
Perciò l’Islanda non dovrà ripagare i debiti delle banche con soldi pubblici. Anche se, In realtà, il governo si è impegnato a risarcire, per quanto possibile, gli investitori stranieri. Ma in maniera graduale e senza attingere ai fondi pubblici. E’ questo il vero nodo della questione: non è lo Stato ed i suoi cittadini che devono pagare per gli errori e gli azzardi commessi dalle Banche. Ed in effetti sembra proprio che nessuno si sia fatto “male”: gli investitori sono stati rimborsati in parte dal governo Islandese e da quelli Britannici e Olandese; l’economia dell’isola artica è in ripresa, permettendo così di pagare anche la differenza dei debiti. D’altronde possono permetterselo: quest’anno l’economia di Reykjavik dovrebbe crescere del 2,9%.
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Stefano Vito Riccardi
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